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Possiamo davvero rallegrarci che la nomina della Capitale italiana della cultura sia diventata un vero evento. In pochi anni il ministro Franceschini è riuscito a imporre all’attenzione dell’opinione pubblica una scelta che sembrava irrimediabilmente riservata a una nicchia.
La designazione di Procida per il 2022 è stata accolta con grande soddisfazione da tutti. Come mai? Eppure i concorrenti erano molti, agguerriti, titolati. I motivi sono molti. Certamente incide la simpatia per un centro “minore”, una piccola isola che vuole rappresentare tutte le isole italiane. Davide contro Golia, i piccoli, per una volta, superano i grandi, i deboli hanno la meglio sui forti, gli outsider sconfiggono i blasonati. E poi la gioia irrefrenabile di una comunità, il sindaco che si inginocchia con il volto tra le mani, i sorrisi, gli abbracci, le danze, la fatica per far tacere gli esultanti e permettere una dichiarazione di ringraziamento, tutte testimonianze di una ricca umanità, di una comunità vera.
Naturalmente la giuria presieduta da Stefano Baia Curioni avrà badato solo alla qualità della candidatura coordinata da Agostino Riitano. Non ho ancora avuto modo di leggere il Dossier ma le parole che hanno accompagnano il video lasciano il segno: Procida è un’isola che non isola. Laboratorio culturale di felicità sociale. Perché la cultura non isola.
Chi conosce le isole italiane non può non concordare. Isole che non isolano. Isole che trattengono, conservano gelosamente storia e identità locali ma, al contempo, isole in continuo scambio con chi le circonda. Gli isolani sono ai quattro capi del mondo. Vanno e vengono, sempre ritornano. E il mondo arriva in ogni lembo di terra in mezzo al mare. I visitatori, i turisti, gli stranieri si fanno prossimi, diventano amici, a volte concittadini, condividono tratti di vita. In ogni caso sono accolti.
Procida si propone, inoltre, come laboratorio culturale di felicità sociale. In ogni laboratorio che si rispetti si “labora” e questo lavoro è fatto di osservazione, di studio, di ricerca, si fanno esperimenti, si mescolano elementi, sempre con rigore e passione. Procida è un laboratorio culturale e per questo, come indicato nelle cinque sezioni del Dossier, inventa, ispira, include, innova e impara.
Ma al mio cuore arriva come una freccia lo scopo di questo laboratorio: la felicità sociale. Hanno avuto coraggio e “sfrontatezza” scegliendo questa espressione. La felicità è sempre un gesto creativo, generativo e, allo stesso tempo, un atto relazionale, una ricchezza condivisa, partecipata. Per questo la vera felicità è intrinsecamente sociale. La felicità individuale è uno stato d’animo momentaneo, transitorio, la felicità sociale pretende una visione, un progetto, una comunità – piccola o grande che sia – capace di condividere e scegliere il proprio orizzonte.
Procida, Capitale della Cultura 2022, ha ricordato a tutti noi, in questi tempi difficili, che la felicità sociale è un obiettivo irrinunciabile per ogni comunità che non si voglia isolare ma, caparbiamente, dialogare con il mondo. Grazie Procida!
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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