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Qualche volta anche i buoni esempi sono “contagiosi” e si diffondono a macchia d’olio. Non capita spesso, per la verità, ma in questo caso è così. Parliamo delle stanze degli abbracci nelle case di riposo e nelle Rsa. Sembra che l’idea sia venuta agli operatori della Domenico Sartor, una Rsa di Castelfranco Veneto. Altre esperienze sono seguite nella Rsa Sacro Cuore di Brugnato, in provincia di La Spezia e nella Residenza Anna Maria di Ivrea. Addirittura i sindacati dei pensionati (Spi-Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil) hanno rivolto un appello alla regione Lombardia affinché favorisca la creazione delle “stanze degli abbracci” in tutte le Rsa. Tra poche settimane ne dovrebbero essere pronte nelle strutture gestiste dall’Asp di Reggio Emilia. Infine è notizia recentissima che in Toscana la Società della salute – consorzio pubblico tra il Comune e l’Azienda Sanitaria di Firenze – ha pubblicato un bando per dotare di attrezzature analoghe le 36 Rsa fiorentine. Questi sono solo alcuni casi di cui si è letto sulla stampa.
Ma cosa sono, nel dettaglio, le stanze degli abbracci? Tutti abbiamo fatto esperienza o sentito parlare della drammatica solitudine degli anziani nelle case di riposo, lontano dagli affetti, impossibilitati a ricevere visite anche da parte dei parenti più stretti per paura del contagio. Finora l’unica possibilità di contatto era affidata al provvidenziale telefonino. Non molto, ma comunque qualcosa.
È merito degli operatori socio-sanitari se oggi è possibile offrire di più. In linea di massima la stanza degli abbracci è un ambiente riservato con una speciale barriera trasparente, oppure “una tenda gonfiabile, con una parete di plastica rigida al centro sulla quale si innesta un velo morbido dotato di maniche per l’inserimento delle braccia”. Due ingressi separati e distanziati consentono l’ingresso dei familiari e degli ospiti della struttura che in questo modo possono avvicinarsi, guardarsi, ’toccarsi’, parlare “in presenza”, senza temere il contagio.
Potete immaginare l’emozione dell’incontro. Finalmente i corpi possono avere un contatto, gli sguardi incrociarsi, le voci essere ascoltate senza mediazioni. Le stanze degli abbracci restituiscono speranza e dignità. Una soluzione semplice ma d’immenso valore.
«Vogliamo colmare il bisogno di affetto e carezze rimasto finora sacrificato dalle norme anti-coronavirus», ha affermato don Mario Perinetti, presidente del Consorzio Campo del Vescovo, che gestisce la struttura di Brugnato. «È necessario poter garantire nuovamente un contatto fisico, che è fondamentale, dato che niente è più confortevole di un abbraccio: è un gesto empatico, aumenta l’autostima, dà energia e permette al nostro organismo il rilascio di endorfine e di ossitocina» ha dichiarato la direttrice della Rsa veneta, Elisabetta Barbato.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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