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A che punto siamo con il Recovery Fund?

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Che sta accadendo attorno al Recovery Fund? Perché la disponibilità dei fondi dell’Unione Europea sembra allontanarsi? Davvero l’Italia corre il rischio di perdere la straordinaria opportunità fornita dal cospicuo aiuto dell’Unione per combattere la crisi economica post COVID?

Proviamo a fare chiarezza, in primo luogo sulla battuta d’arresto nel processo decisionale europeo. Giovedì scorso il Comitato dei rappresentanti permanenti presso la Ue ha preso in esame un pacchetto di interventi proposto dalla presidenza tedesca, che comprende l’accordo di principio sul bilancio pluriennale dell’Unione 2021-27, l’intesa con il Parlamento europeo sul rispetto dello Stato di diritto come condizione per ottenere i fondi europei e l’avvio della procedura che autorizza la Commissione a indebitarsi sui mercati per finanziarie il Next Generation Eu da 750 miliardi di euro.

In realtà solo l’approvazione del quadro finanziario pluriennale e delle risorse per il Next Generation Eu richiede l’unanimità. Ungheria e Polonia hanno minacciato di porre il veto all’intero pacchetto di provvedimenti non certo per le questioni inerenti il bilancio e il Recovery Fund, che li vedono tra i principali beneficiari, quanto per l’intesa con il Parlamento europeo sul rispetto dei principi dello stato di diritto per poter accedere a tali risorse.

Giova ricordare che a inizio novembre è stata raggiunta l’intesa tra il Parlamento e il Consiglio Europeo a protezione del bilancio UE secondo cui l’accesso ai fondi comunitari potrà essere consentito solo ai Paesi che rispettano lo Stato di diritto. Non si tratta di una novità assoluta, come qualcuno sostiene. Già lo scorso gennaio l’assise europea (446 voti favorevoli, 178 contrari e 41 astensioni) ha approvato una risoluzione dove si legge che “la situazione sia in Polonia che in Ungheria si è deteriorata sin dall’attivazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione Europea”. In particolare la Polonia è sotto accusa per le “minacce percepite relative all’indipendenza della magistratura”, mentre gli europarlamentari contestano all’Ungheria “i rischi relativi a indipendenza giudiziaria, libertà di espressione, corruzione, diritti delle minoranze e per la situazione dei migranti e dei rifugiati”.

Al momento la situazione è in stallo. Da un lato la maggioranza degli Stati europei, capeggiata dai cosiddetti Paesi frugali, non intende rinunciare alla clausola di condizionalità, dall’altro Orbán, in vista delle elezioni del 2022, non può fare a meno né dei fondi europei né della propaganda sovranista. Per questo Paolo Gentiloni, Commissario Ue all’Economia, sottolinea con forza che bisogna «attuare Next Generation Eu, naturalmente superando i veti che sono intervenuti in questi ultimi giorni, che non sono giustificati, perché i Paesi che mettono questi veti sono molto colpiti da questa seconda fase della pandemia e sono molto favoriti sia dal quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea che dai fondi del Next Generation Eu».

Ma c’è anche un problema tutto italiano. Il nostro Paese è in ritardo nella presentazione del Piano di resilienza e ripresa? Qualcuno inizia addirittura a parlare di un’Europa a due velocità: da un lato gli Stati con progetti immediatamente cantierabili, dall’altro quelli più lenti, che potrebbero essere finanziati solo in un secondo momento. Gli esponenti del Governo offrono rassicurazioni a piene mani. Ha dichiarato il Presidente del Consiglio nel suo intervento all’assemblea dell’Anci: “Oggi è stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza. Abbiamo verificato e quella notizia non viene neppure da Bruxelles, è stata inventata di sana pianta. Le nostre linee guida sono state convalidate e condivise anche da un passaggio parlamentare. Lavoriamo già con la Commissione europea, settimanalmente, per la definizione dei progetti”. Dello stesso tenore le parole del Ministro dell’Economia Gualtieri: “stiamo lavorando con grande intensità e siamo in una interlocuzione con la Commissione europea, come altri Paesi. Nessun Paese ha presentato il piano finale, stanno tutti lavorando con la Commissione per affinare i progetti e noi lo stiamo facendo piuttosto intensamente”.

Sarà senz’altro vero ma la preoccupazione rimane perché il nostro Paese, finora, non ha mai brillato per efficienza ed efficacia nella programmazione e gestione dei Fondi comunitari. D’altra parte, per quanto si apprende dalla stampa, quattro o cinque Paesi hanno già approntato i Piani, mentre altri, tra cui l’Italia, hanno in corso rapporti con la Commissione sulla base di ipotesi ancora soltanto qualitative.

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