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Quante volte ci hanno chiesto di firmare una petizione? Spesso. Del resto le buone cause meritano attenzione. Ma quella che oggi sottopongo alla vostra attenzione ha un valore particolare, ancor più in questo momento. Parlo della petizione #datibenicomuni proposta da ricercatori, giornalisti, enti di ricerca, organizzazioni dei consumatori, redazioni.
La questione può essere riassunta in poche battute. Quali sono i dati su cui si fondano le scelte delle Istituzioni? Una domanda che ha sempre valore, tanto più quando si è costretti ad assumere decisioni che limitano la libertà di persone e imprese. Perché una regione italiana è collocata in zona rossa o arancione? Le risposte più frequenti: dati oggettivi, algoritmi, evidenze scientifiche. Risposte parziali, elusive. Dove possiamo prendere visione di questi dati, come possiamo consultarli? In che formato sono disponibili? Sono intellegibili e a disposizione del mondo della ricerca e di quello dell’informazione?
Quesiti decisivi per le sorti della democrazia e per la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni. Finora la politica italiana ha sempre privilegiato la discussione ideologica rispetto a quella basata sull’analisi critica di dati e fatti. In realtà la stessa opinione pubblica ha preferito l’appartenenza alla fatica della discussione informata basata sulla conoscenza. Questa petizione indica una direzione diversa: trasparenza e accessibilità dei dati, informazione e comunicazione corretta. “I cittadini hanno il diritto di conoscere su quali dati e quali analisi si basano le decisioni prese dal governo”, oggi per le restrizioni dei prossimi DPCM, domani per qualsiasi altra decisione pubblica.
Per questi motivi vale la pena unirsi alla raccolta di firme per “dati bene comune” (www.datibenecomune.it).
“Viviamo una grave crisi. La società civile italiana, una delle più mature e competenti del mondo, è pronta a supportare le Istituzioni nel farvi fronte.
Per farlo, però, ha bisogno di dati. La cittadinanza, stremata, chiede risposte mirate, meno gravose di “tutti in lockdown“. Elaborarle richiede dati pubblici, disaggregati, continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili a ricercatori, decisori, media e cittadini. Il nuovo sistema di classificazione del territorio nazionale in tre aree di rischio rappresenta, in questo senso, un’opportunità, perché comporta un sofisticato sistema di monitoraggio nazionale e quindi genererà, si presume, molti dati di qualità.
Il governo è consapevole di tutto questo. Un recente documento di indirizzo pone “la trasparenza e l’accessibilità dei dati al centro della strategia di gestione del rischio pandemico”. Pandemia a parte, l’Italia si impegna da tempo per la trasparenza amministrativa. In sede internazionale, per esempio, siede nel board dell’Open Government Partnership. Purtroppo, adottare un indirizzo non è sufficiente: bisogna anche tradurlo in pratica. E questo significa lavoro duro: misure attuative, integrazione di flussi informativi, data stores. Come sempre, la differenza tra il dire e il fare è… il fare.
Per questo, chiediamo al Governo Italiano di:
Vediamo di continuo decisioni prese per limitare il contagio sulla base di dati che non sono pubblici: la trasparenza è alla base di ogni democrazia! I cittadini hanno il diritto di conoscere su quali dati e quali analisi si basano le decisioni prese dal governo per le restrizioni dei prossimi DPCM. Da questi dati dipende la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la nostra salute mentale: vogliamo che siano pubblici! E vogliamo che siano in formato aperto, perché dobbiamo permettere agli scienziati e ai giornalisti di lavorare per bene.
I firmatari di questa lettera sono estremamente preoccupati per il crollo di fiducia generato dalla gestione dell’emergenza COVID-19. In questo momento una corretta comunicazione, basata sull’evidenza dei dati, è quanto mai importante per comprendere le scelte istituzionali che hanno profonde conseguenze sulla vita delle persone”.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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