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In Mauritania esiste ancora la schiavitù

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Da gennaio di quest’anno la Mauritania fa parte del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, insieme ad altri 13 Paesi, un riconoscimento a  uno Stato che ha abolito sin dal 1981 la schiavitù, diventando uno degli ultimi Paesi a farlo. Addirittura, nel 2015, è stato fatto un passo avanti dal punto di vista legislativo, considerando la schiavitù come un crimine contro l’umanità, prevedendo pene carcerarie raddoppiate rispetto a prima.

Il vero problema è che, dopo l’emanazione delle leggi, nulla è cambiato rispetto a prima e la schiavitù rimane una caratteristica endemica della società mauritana. Anzi, secondo Amnesty International, non ci sono risultati positivi perché a oggi sono circa 43.000 persone – uomini, donne e bambini – che ogni anno continuano a essere schiavi.

Purtroppo in Mauritania la schiavitù si tramanda di generazione in generazione, come ha spiegato al sito The New Arab il professore di Storia Ahmed Ould Habibiallah dell’Università di Nouakchott Al-Aasriya: «Sono in particolare le tribù che vivono lungo il confine con il Mali a continuare a sostenere la tradizione della proprietà di schiavi ed è in questo modo che intere famiglie schiavizzate vengono letteralmente ereditate di generazione in generazione. Diventa normale e naturale, quindi, che anche i bambini nascano schiavi, con un futuro senza possibilità di scampo».

Non a caso, sono proprio questi i minori che vengono sfruttati e messi a lavorare fin dalla più tenera età: ecco quindi che nessuno si fa scrupolo di affidare loro il bestiame da curare, andare a prendere l’acqua o assegnare lavori pesanti. Purtroppo non è affatto raro trovare fenomeni diffusi come l’affitto o il prestito di bambini per il lavoro e, naturalmente, viene loro negata una qualsiasi istruzione che non sia lavorativa. Ma c’è di più: dal momento che la società mauritana è formata da diverse etnie, esistono anche gerarchie sociali diverse simili alle caste indiane, per intenderci. E, forse non è un caso, che la più bassa – quella del popolo Haratine – sia di carnagione più scura, mentre le classi superiori sono rappresentate dai berberi dalla pelle più chiara o dagli arabi benda (bianchi). Quindi, anche nel Paese africano, permane l’elemento razziale come fondamento della riduzione  in schiavitù.

Del resto, se da una parte il presidente mauritano Mohamed Ahmed El-Ghazouani porta avanti con il suo governo la lotta contro la schiavitù, dall’altra parte spiega Biram Dah Abeid, difensore dei diritti umani: «Concordo con il capo dello Stato quando dice che la Mauritania non istituzionalizza la schiavitù nelle sue leggi più recenti. Tuttavia la Costituzione continua a sostenere che la fonte del diritto nella repubblica islamica di Mauritania è la Sharia. E la Sharia islamica da noi significa rito Maliki. Il rito Malakita non solo legittima la schiavitù, ma la codifica e la santifica».

Abeid stesso ha trascorso diversi mesi in Europa, dove più volte ha chiesto alla Comunità internazionale di schierarsi sul mancato rispetto dei Diritti Umani, nella speranza che qualcuno intervenga e i suoi appelli non rimangano, come adesso, inascoltati.

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