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Bologna, 2 agosto 1980 ore 10.25

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Siamo a Bologna nell’anno 1980, il 2 agosto. Sono tante le persone che si trovano alla stazione, in partenza per le ferie o per raggiungere i propri cari. Precisamente alle 10.25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione bolognese, un ordigno a tempo viene fatto esplodere. La bomba, contenuta in una valigia abbandonata, è composta da 23 chili di esplosivo, di cui 5  di tritolo e T4 potenziati con 18 chili di gelatinato (nitroglicerina a uso civile).

La valigia  viene sistemata su un tavolino portabagagli posto sotto il muro portante dell’ala Ovest della stazione, proprio per aumentare l’effetto dello scoppio. Infatti, l’onda d’urto dell’esplosione – insieme ai detriti provocati –  investe persino il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea che si trova in quel momento in sosta sul primo binario, distruggendo anche circa 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi posto sul davanti dell’edificio.

Bologna e i suoi abitanti si dimostrano all’altezza della tragedia: per esempio la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico – dove si trova la stazione – viene riservata alle ambulanze e ai mezzi di soccorso. Addirittura, dal momento che il numero dei feriti risulta essere molto alto, i vigili impiegano auto private, taxi e addirittura l’autobus della linea 37 che, non a caso, diventa uno dei simboli della strage insieme all’orologio esterno della stazione fermo sulle 10.25. Vengono attivati immediatamente i soccorsi alle vittime, sia da parte dei viaggiatori che da parte dei cittadini che contribuiscono a estrarre le vittime sepolte dalle macerie.

Lo sdegno, la tristezza, l’angoscia, in quei momenti attanagliano tutti. L’Italia intera si ferma incredula e attonita davanti a uno scenario inaudito. Unica consolazione, per tutti i cittadini di Bologna e dell’Italia, è  l’arrivo in elicottero – alle 17.30 –  dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini che in lacrime e di fronte ai giornalisti  afferma: «Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».

Non desidero parlare dei vari processi, depistaggi, imputazioni susseguitesi per ben 40 anni, dato che solo l’11 febbraio 2020 la Procura Generale della Repubblica di Bologna ha chiuso l’inchiesta contro presunti mandanti e finanziatori, oltre a esecutori e NAR.

Invece, quello che mi preme è non dimenticare, ricordare questa strage anche ai ventenni di oggi, ai quarantenni che ancora non erano nati e che forse ne hanno a malapena sentito parlare. Il mio desiderio è fissare anche nella loro memoria quello che è avvenuto, ciò che si è compiuto in nome di chissà quali obiettivi che, in ogni caso, hanno mostrato disprezzo per la vita umana.

Non per niente: sono morte ben 85 persone e oltre 200 sono state ferite o mutilate.

È stato il più grave atto terroristico avvenuto nel nostro paese nel secondo dopoguerra, da molti indicato come uno degli ultimi atti della strategia della tensione o anni di piombo, dopo la strage di Piazza Fontana a Milano del 1969, quella di Piazza della Loggia a Brescia del 1974 e infine il treno Italicus del 4 agosto 1974.

In mezzo a tutto questo, mi sovvengono le parole di un “figlio” bolognese – Francesco Guccini – che nella canzone dedicata alla sua città dice: «Bologna capace d’amore, capace di morte e che sa stare in piedi, per quanto colpita».

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