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“Al 31 dicembre 2019 la popolazione residente in Italia ammonta a 60.244.639 unità, quasi 189 mila in meno rispetto all’inizio dell’anno (-0,3%). Rispetto alla stessa data del 2014 diminuisce di 551 mila unità, confermando la persistenza del declino demografico che ha caratterizzato gli ultimi cinque anni”.
Sono i cittadini italiani a diminuire considerevolmente: 236 mila in meno in un anno, 844 mila negli ultimi cinque. L’incremento della popolazione straniera riesce a mala pena a frenare il declino (solo 47 mila unità in più nel corso del 2019).
Il primato in termini di perdita della popolazione, naturalmente, è al Sud (Molise -1,14%, Calabria -0,99%) mentre si registrano lievi incrementi al Nord (Bolzano +0,30%, Trento +0,27%, Lombardia +0,16%).
“Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2018 è di nuovo superato dai dati del 2019: gli iscritti in anagrafe per nascita sono appena 42.170, con una diminuzione di oltre 19 mila unità sul 2018 (-4,5%)”. Ad aggravare il dato la diminuzione anche del numero degli stranieri nati in Italia.
Intanto cresce il numero di persone che lascia l’Italia per l’estero (182.000), ormai con una quota non trascurabile di stranieri. Ma, soprattutto, quasi un milione e mezzo di connazionali hanno trasferito la propria residenza, quasi sempre dal Sud al Nord e al Centro. “Il tasso migratorio interno oscilla tra il -5,8 per mille della Calabria e il 4,1 per mille dell’Emilia Romagna”.
Il Bilancio demografico nazionale dell’ISTAT stimola mille considerazioni, ma preferisco soffermarmi su un unico aspetto. “Il saldo naturale della popolazione residente, nel complesso, è negativo in tutte le regioni: unica eccezione la provincia autonoma di Bolzano, che prosegue il suo trend positivo in termini di capacità di crescita naturale. Il tasso di crescita naturale, che si attesta a -3,6 per mille a livello nazionale, varia dal +1,5 per mille di Bolzano al -8,1 per mille della Liguria. Anche Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Molise presentano livelli del saldo naturale particolarmente accentuati, superiori al -5,5 per mille”.
La nostra demo-follia è pienamente confermata. Non parlo della follia che si insinua nella mente dei governati, di cui ha scritto pochi mesi addietro Michele Ainis, quanto della follia che sottende le mancate scelte del nostro ineffabile Paese nelle politiche demografiche. Da anni prendiamo atto di questi dati senza batter ciglio. Il Paese si suicida rapidamente, inconsapevolmente. I pochi che tentano di affrontare l’argomento vengono “snobbati” perché c’è sempre qualche problema più urgente da affrontare.
Nello stesso tempo l’Italia è il Paese che si commuove al solo pensiero della nascita dei bimbi. Non a caso le loro immagini “riempiono” le campagne di raccolta fondi. Siamo soltanto ipocriti. Celebriamo retoricamente l’infanzia e non facciamo nulla perché i bambini possano nascere e crescere con responsabilità. Niente servizi per l’infanzia, scarsi investimenti nella scuola e nella formazione, inadeguati sostegni alla genitorialità, nessuna cura delle comunità locali. La tanto celebrata “famiglia”, anche quella più tradizionale, in realtà non entra nell’agenda politica.
Per non parlare degli ostacoli che i giovani incontrano per costruire progetti di coppia che possano includere la presenza di figli, dalla casa al lavoro, solo per citarne alcuni. Oppure delle discriminazioni sul lavoro delle donne che decidono di avere figli, dalle “pressioni” per dissuaderle alle persecuzioni dopo averli accolti.
Il Paese che celebra famiglia e bambini, non fa nulla per far crescere in autonomia i giovani, per aiutarli a costruire il proprio progetto di vita, per accompagnare la genitorialità. Avere figli, in Italia, è una durissima corsa a ostacoli.
Non c’è nulla di naturale o inevitabile in tutto questo. Al contrario, è la scelta consapevole di un Paese egoista, ripiegato su se stesso, privo di ogni progetto per il futuro. Quota 100, al di là delle intenzioni, ne è il simbolo più eloquente. Nella girandola di ipotesi per il rilancio post Covid-19 sembra emergere qualche segnale di attenzione. Ma ci vuole ben altro. Solo una miracolosa conversione sulla via di Damasco può salvarci o, più realisticamente, un sano conflitto generazionale che sappia definire nuove priorità.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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