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Spesso dico che non siamo noi a scegliere i libri, ma loro ad accorrere in nostro aiuto. Negli ultimi giorni sono stata scelta da “Le gratitudini”, della scrittrice francese Delphine De Vigan (Einaudi, 2020). Era fondamentale che giungesse a me ora, adesso che stiamo affrontando tutti una delle battaglie più ardue, quella contro il Covid-19. Come sempre, i bravi scrittori cercano risposte alle domande che devono ancora essere poste: cosa avranno pensato le centinaia di uomini e donne relegate in un letto d’ospedale? Quanti i rimpianti? Quanto di irrimandabile ha dovuto essere rimandato? E tutti sapevano cosa stesse succedendo o qualcuno non ha fatto neanche in tempo a rendersene conto?
E dal canto nostro? C’erano frasi che volevamo dire e ora sono disperse nel vento? Qualcuno, un semplice abbraccio? Qualcun altro ancora era determinato a perdonare un torto lungo vent’anni? La vita non ci pensa, non ha quasi mai in sé la dolcezza e la bontà che vorremmo, si sa.
Chi conosce la De Vigan sa perfettamente quanto la sua caratteristica primaria sia quella di riuscire a parlare con profondità – e allo stesso tempo semplicità – dei sentimenti più profondi e complessi. E con ironia, sicché non è infrequente che mentre sei lì con gli occhi sgranati a leggere la pagina in cui lei raggiunge il climax più alto, bam, la scrittrice usa espressioni di un ironico inatteso. Così vorresti piangere e ridere e dal momento che non sai deciderti, tu vai avanti con la lettura.
Il romanzo è brevissimo, pertanto sento di poterlo consigliare anche a chi legge poco o si annoia presto.
Noi in questo libro troveremo espressa in parole la necessità di poter esprimere la nostra gratitudine a tutte quelle persone che, nel tempo, hanno acceso il loro ultimo fiammifero per rischiararci la via. Ancora, e soprattutto, a chi ha avuto il coraggio di dire, esprimere, comunicare, attraverso lo strumento supremo, la parola, quel che andava detto. Qualcuno pensa che le parole siano sopravvalutate e continui a pensarlo se vuole, tuttavia c’è un problema: le cose non esistono finché non le pronunciamo. E i sentimenti, anche loro, non aprono gli occhi alla luce finché noi non abbiamo il coraggio di articolare il suono e, seppur col cuore pieno di paura, non cominciamo a parlare.
Data la lunghissima premessa, a vostro avviso chi potrebbe essere protagonista di un romanzo con temi del genere?
Non so cosa darei per sapere quanti di voi abbiano indovinato. In ogni caso posso scriverlo perché è presente in qualunque sinossi e non c’è rischio alcuno di spoiler.
Si tratta di una persona anziana, Michka, alla quale la malattia ogni giorno ruba qualche parola ed è forse questo tra i peggiori dei danni, tra le più orribili maledizioni. Gradualmente, di fatto, il mondo smette di esistere e tutto comincia quasi sempre dalla parola. Per Michka diventa impossibile, nel lento deteriorarsi di questo stato, dare nome ai volti amati, alle cose di tutti i giorni.
Ma c’è qualcosa di infinitamente prezioso che Michka, ricevuta la diagnosi, sente di dover e voler fare prima che le lancette dell’orologio le diventino avverse: non può morire prima di aver espresso la propria gratitudine a tutti. Questo il suo primo pensiero, questo l’ultimo. In effetti il romanzo si gioca dentro l’arena della lotta contro il tempo, esercitandosi nel provare a rallentarlo quando diventa fondamentale dire le parole giuste anziché quelle che segnano e avvelenano l’anima. Infine, “Le gratitudini” sono una celebrazione alla riconoscenza e «a tutti quei sentimenti che ci legano gli uni agli altri. E che ci rendono umani».
La verità è che per ognuno di noi esiste un elenco di parole – e mi riferisco a quelle che erompono dal di dentro, dunque sincere, parole importanti mai dette per chissà quale ragione -, addirittura ce ne sono alcune di cui non conosciamo il suono. Perché non le abbiamo mai liberate.
Lasciamo all’autrice le parole più importanti, valgono certo più delle mie; per il finale ho scelto queste: «In fin dei conti. Credi di avere il tempo di dire le cose, e poi all’improvviso è troppo tardi. Credi che basti mostrare, fare gesti, ma non è vero, bisogna dire».
Sono nata a Pescara il 20 aprile del 1983, dove tuttora vivo. Ho una formazione di tipo sociale e dopo il titolo di “Tecnico dei Servizi Sociali”, ho approfondito le mie conoscenze fino a divenire “Esperto di Comunità”. Questo mi ha permesso di avere alcune interessanti esperienze presso Cooperative e Associazioni entrando così in contatto diretto con l’anima delle persone e consolidando la mia natura empatica. Sono estroversa, creativa, curiosa e passionale, credo nei progetti e nella passione che alimentano il gusto delle nuove sfide. Amo leggere, viaggiare, passeggiare in montagna e ascoltare buona musica.
La mia più grande passione è la scrittura. Come freelance ho avuto l’opportunità di scrivere per alcuni giornali del web e della carta stampata e, in seguito a un corso di “scrittura professionale”, ho avuto modo di approfondire gli aspetti più tecnici del mestiere. Grazie ad uno stage presso la Social Hub scarl ho avuto l’opportunità di esprimere al meglio la mia grande voglia di interagire con il mondo attraverso il portale “Felicità Pubblica”.
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