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Il film “Hammamet” di Gianni Amelio è uscito da pochi giorni, eppure pare sia nelle sale da mesi. In tanti ne hanno parlato esprimendo giudizi discordanti. Sulla trama c’è poco da dire, la conoscono già tutti. Si tratta della ricostruzione degli ultimi 6 mesi della vita di Bettino Craxi nella sua casa di Hammamet. Un solo riferimento alla vita politica: la scena d’apertura all’Ansaldo, a margine del 49° Congresso del PSI.
Un film difficile, divisivo, come il suo protagonista. Un film che, non a caso, va in programmazione in occasione dei 20 anni dalla scomparsa del leader socialista. E così, suo malgrado, rischia di essere travolto dall’inevitabile discussione sulla figura di Craxi, sulla sua azione politica, sulla sua eredità. Riviste, giornali, siti sono pieni di confronti sull’alternativa tra rivalutare questo scomodo personaggio o dimenticarlo per sempre. Inevitabilmente il film risente di queste discussioni che, in realtà, gli sono del tutto estranee.
Vedendo “Hammamet” non troveranno soddisfazione i detrattori di Craxi, quelli che iniziano a inveire non appena ne sentono pronunciare il nome. Per costoro, e sono tanti, non ha importanza di quale aspetto della vita e dell’opera si stia parlando, loro danno avvio all’invettiva “a prescindere”, perché Craxi è il male assoluto, colui che ha distrutto la Sinistra, ha sdoganato l’ignoranza, ha lasciato libero corso alla corruzione. Ma non avranno soddisfazione neppure i fan di Craxi, quelli convinti che “solo lui” ha capito la modernità, ha riformato la Sinistra, si è opposto ai poteri forti, ha provato a cambiare l’Italia.
Ma “Hammamet” deluderà anche chi si aspetta un film “storico” o una biografia dell’uomo politico, uno spaccato sulla vicenda di un leader che ha occupato la scena italiana per vent’anni. In realtà soltanto pochi mesi a cavallo tra il 1999 e il 2000 nella villa di Hammamet e nei suoi dintorni. Nessuna concessione alla cronaca. Anche quando appaiono amici e conoscenti non possiamo essere certi della loro identità. Anche i pochi discorsi politici non possono essere attribuiti a esponenti chiaramente identificati.
Gianni Amelio vuole narrare gli ultimi mesi di vita di un uomo, quella fase in cui ciascuno è costretto a fare i conti con se stesso, con la propria vicenda privata e, nel caso di Craxi, pubblica. È questa la chiave di lettura di un film intenso. Craxi è solo. L’uomo politico più “osannato” del secondo dopoguerra non ha più attorno nessuno. Non i compagni di un tempo ma neppure “nani e ballerine”. Craxi si mostra nella sua “arcigna” fragilità, nella sua intrinseca contraddittorietà. È attorniato da una famiglia “irrisolta”, incapace di scalfire la solitudine, il suo solipsismo. Rifugge un amore passato. Unici amici un nipotino sovrappeso e un ragazzo venuto dall’Italia per vendicare il padre suicida.
Ma soprattutto Amelio volge lo sguardo al dramma dell’esilio volontario e al suo esito fatale. La malattia diventa mortale perché in Tunisia non ci sono cure adeguate. La soluzione sarebbe a portata di mano ma Craxi non accetta di tornare in Italia, non riconosce i suoi giudici, rifiuta la prospettiva del carcere. La narrazione non presenta un latitante in fuga ma un esule che aspetta, consapevole, il compiersi del proprio ineluttabile destino. E nell’uomo “solo” continuano ad alitare la politica, la storia, le sfide, le vittorie, le sconfitte. La morte è, al contempo, vicenda privata e pubblica, umana e politica. Nelle immagini di Amelio c’è il respiro della tragedia greca che parla di destino e necessità.
Come tutti hanno sottolineato la recitazione di Favino è superba. Perfetto il trucco, impressionante la somiglianza. Ma la grandezza della prova d’attore è nella gestualità, nello sguardo, nelle movenze.
“Hammamet”, in definitiva, è un film drammatico, problematico e spigoloso, un film che ha il merito di aiutarci a comprendere qualcosa in più di Bettino Craxi. Ma per raggiungere lo scopo ha bisogno che gli spettatori mettano da parte i pregiudizi e restino in ascolto, affidandosi alla narrazione filmica. Buona visione.
Hammamet, Regia di Gianni Amelio, con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Alberto Paradossi, co-prodotto da Rai cinema, Pepito Produzioni e Minerva Pictures, 01 Distribution, 2020
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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