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Papa Francesco ha convocato il Sinodo sull’Amazzonia

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A volte, per fortuna, appaiono segni di speranza: uno di questi è il Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia convocato da Papa Francesco. Mentre le fiamme ancora avvolgono quei territori e le diplomazie arrancano alla ricerca di improbabili equilibri, la voce della Chiesa si leva con forza per riflettere sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. Il coraggio e la chiarezza sono alcune tra le cifre del pontificato di Francesco e solo la sua pastorale può spiegare un gesto tanto forte e pieno di significato.

I lavori preparatori sono iniziati oltre un anno fa e hanno chiamato a raccolta energie e intelligenze. Come ha ricordato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, nel corso della relazione di apertura dell’Assemblea, «in collaborazione con la Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), sono stati realizzati 260 eventi, 70 assemblee territoriali, 25 forum tematici e altre 170 attività che, in totale, hanno raggiunto 87mila persone». Nel mese di ottobre 185 padri sinodali, di cui 113 provengono dalle regioni panamazzoniche, sono chiamati a riflettere, confrontarsi e pregare nelle Congregazioni generali e nei Circoli minori, fino alla votazione del 26 ottobre e alla costituzione del consiglio post-sinodale. In tempi di uomini soli al comando questa è una splendida lezione di collegialità.

Papa Francesco, nel suo messaggio, ha indicato lo stile da assumere: «Ci avviciniamo alle popolazioni amazzoniche in punta di piedi, rispettando la loro storia, le loro culture, il loro stile di vita (…) perché i popoli hanno un’entità propria, tutti i popoli hanno la loro saggezza, consapevolezza di sé, i popoli hanno un sentimento, un modo di vedere la realtà, una storia, un’ermeneutica e tendono ad essere protagonisti della propria storia con queste cose, con queste qualità».  Parole all’apparenza semplici, gentili ma che suonano come durissima condanna degli imperialismi politici e commerciali che tutto tendono a controllare e a “omogeneizzare”. Parole inesorabili per chi considera barbari i popoli nativi. Parole di giudizio anche per la stessa Chiesa che in passato ha malamente inteso la sua funzione missionaria. «Veniamo a contemplare, a capire, a servire i popoli».

La Chiesa sceglie di intraprendere questo difficile cammino facendo ricorso ai suoi strumenti. «(…) lo facciamo nel Sinodo, non nelle tavole rotonde, non nelle conferenze (…) perché un Sinodo non è un parlamento, non è un call center, non è dimostrare chi ha più potere sui media o nella rete per imporre qualunque idea o piano (…), il Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo».

Francesco chiede alla Chiesa di fare in modo che la presenza dello Spirito Santo sia fruttuosa. «Vi chiedo di pregare molto. Riflettere. Dialogare, ascoltare con umiltà, sapendo che non tutto conosco. E parlare con coraggio, con parresìa, anche se devo vergognarmi, dire quello che sento, discernere e, all’interno di tutto questo, custodire la fraternità che deve esistere qui dentro».

Non c’è buonismo di maniera in queste parole, al contrario c’è piena consapevolezza di quanto male sia stato compiuto e di quanto forti siano i nemici dell’Amazzonia. Lo ricorda senza mezzi termini il cardinale Claudio Hummes, relatore generale del Sinodo.

«Secondo il processo di ascolto sinodale della popolazione, la minaccia alla vita in Amazzonia deriva da interessi economici e politici dei settori dominanti della società odierna, in particolare delle imprese che estraggono in modo predatorio e irresponsabile (legalmente o illegalmente) le ricchezze del sottosuolo e alterano la biodiversità, spesso in connivenza, o con la permissività dei governi locali e nazionali e a volte anche con il consenso di qualche autorità indigena. La consultazione sinodale registra anche che le comunità ritengono che la vita in Amazzonia sia minacciata soprattutto da: a) la criminalizzazione e l’assassinio di leader e difensori del territorio; b) l’appropriazione e la privatizzazione di beni naturali, come l’acqua stessa; c) le concessioni a imprese di disboscamento legali e l’ingresso di imprese di disboscamento illegali; d) caccia e pesca predatorie, soprattutto nei fiumi; e) megaprogetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento per produrre monocolture, strade e ferrovie, progetti minerari e petroliferi; f) inquinamento provocato dall’intera industria estrattiva che crea problemi e malattie, in particolare ai bambini e ai giovani; g) il narcotraffico; h) i conseguenti problemi sociali associati a tali minacce come l’alcolismo, la violenza contro la donna, il lavoro sessuale, il traffico di esseri umani, la perdita della loro cultura originaria e della loro identità (lingua, pratiche spirituali e costumi), e l’intera condizione di povertà a cui sono condannati i popoli dell’Amazzonia».

Vale davvero la pena fermarsi a leggere il Documento preparatorio per comprendere la riflessione sinodale.

Scopriremo, forse con qualche sorpresa, che per la Chiesa «il primo grado di articolazione per un autentico progresso è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale. Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente».

Da questa considerazione trae origine la nozione di ecologia integrale quale chiave per rispondere alla sfida di tutelare l’immensa ricchezza della biodiversità ambientale e culturale dell’Amazzonia.

Allo stesso tempo l’evento sinodale, riprendendo la riflessione dell’Enciclica Laudato si’, ricorda che «le minacce provengono – principalmente – da una visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, che tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità».

Ed ancora: «Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune».

E infine, citando le parole di Papa Francesco, l’esortazione «a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo».

Sono parole che non possono lasciare indifferenti, laici e credenti, parole che chiedono di abbandonare ogni semplificazione ideologica per lo studio e l’ascolto, che marcano la distanza dalle chiacchiere di circostanza e che invitano a riscoprire un interesse autentico per le persone, i popoli, per la Casa Comune.

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