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Visto che siamo in pieno revival razzista, alcune persone dotate di rara pazienza e buona volontà hanno suggerito di regalare ai nostri vertici istituzionali dei kit genetici per tracciare l’origine degli antenati. Ne è nato persino un progetto in crowdfunding. Questi kit, per quanto limitati (per mantenere prezzi accessibili), mostrano infatti l’inconsistenza dei concetti di “razza” e di “sangue puro” che accompagnano la crescita esponenziale dell’odio verso gli stranieri che approdano nel nostro paese, soprattutto quando neri di pelle.
Dal punto di vista genetico nessun italiano è davvero italiano, perché ha antenati che vengono da molto lontano, e i test genetici ci segnalano spietatamente marcatori originari di diverse regioni del Vecchio Mondo. I marcatori sono delle prove incontestabili, ma non rendono appieno l’idea di quanto effettivamente noi umani siamo meticci perché riguardano alcune singole variazioni che sono state collocate nel tempo e nello spazio dalla ricerca antropologica.
In Italia siamo veramente privilegiati: ogni regione e ogni gruppo di persone ha una storia antropologica ricchissima e straordinaria, grazie alla nostra posizione geografica che si può scientificamente definire “in mezzo come mercoledì”. Se prendiamo in esame il mondo antico, noi siamo tra il Nord e il Sud, tra l’Oriente e l’Occidente; è praticamente impossibile girare per il Mediterraneo senza inciampare nella nostra penisola.
Se non mi credete, chiedetelo a Ulisse!
Il nostro “bacino genetico” risente dell’insieme di coloni, invasori, schiavi e partner commerciali che sono arrivati in Italia dal Neolitico a oggi, oltre che delle dimensioni elefantiache dell’Impero Romano, che si estendeva in tre continenti e scambiava allegramente merci e DNA con regioni attigue. La sola idea di considerare un sottogruppo genetico “italiano” sembra pazzesca, alla luce della documentazione storica di cui disponiamo.
La nostra regione più omogenea dal punto di vista genetico è la Sardegna: i Sardi costituiscono un prezioso case study insieme a Baschi e Islandesi. Il popolamento principale della Sardegna è stato quello del primo Neolitico e geneticamente i Sardi sono considerati dai genetisti molto vicini a quei coloni neolitici che provenivano dal continente (Italia, Francia e Spagna). Ma cosa significa esattamente “molto vicini”?
Nel centro della Sardegna le popolazioni relativamente isolate hanno conservato a lungo il patrimonio dei loro antenati, ma sulle coste le cose sono andate diversamente. Per prima cosa, la Sardegna nuragica era una grande civiltà e ci sono testimonianze certe di commercio e scambio culturale già nel secondo millennio A. C. e a seguire colonie fenice come Tharros, una forte influenza di Cartagine (fino al 238 A. C.) e colonie italiche come quella dei Falisci.
Abbiamo quindi un notevole afflusso genetico rispettivamente asiatico, nord-africano e italico/etrusco ben prima dell’arrivo dei romani in quella che è considerata la regione più “pura” d’Italia.
Nell’immaginario del pubblico, il secondo e il primo millennio prima di Cristo erano periodi arretrati, privi dei fenomeni che caratterizzano il nostro presente. Nella realtà storica, il traffico commerciale attraverso il Mediterraneo è sempre stato florido: idee, tecniche, storie, merci e persone giravano continuamente e la nostra Italia era proprio lì, in mezzo. Qualsiasi tipo di architettura e specifica artistica del mondo antico in Sardegna c’è. La thòlos micenea? C’è. Il menhir? C’è. Il toro cretese? C’è.
Negli ultimi due secoli del I millennio A. C. la situazione si fa ancora più interessante: arrivano i Romani e portano sull’isola un mix genetico spaventoso. Non solo sangue greco, ebraico, etrusco, celtico ma degli innumerevoli popoli Italici che Roma aveva assorbito nel corso della sua espansione. Porto Torres nasce come colonia dei veterani di Cesare, Turris Libisonis. I culti e i miti di tre continenti si incontrano nella Sardegna: Baal, Iside, Melqart, Bes, i Janas.
Emblematica è la storia degli Ebrei sardi. Secondo Tacito, all’inizio del I secolo d. C. Tiberio inviò quattromila coscritti ebrei in Sardegna con le loro famiglie per combattere i Sardi pelliti, sperando che si massacrassero a vicenda e che gli risolvessero così due problemi spinosi in un colpo solo. Gli Ebrei si trasferirono nel centro dell’isola, dove delusero Tiberio stringendo salde relazioni con i Sardi e integrandosi perfettamente là dove i romani trovavano invece una forte resistenza. L’approdo di circa ventimila ebrei in un’isola abitata, al tempo, da mezzo milione di persone non è una cosa di poco conto dal punto di vista genetico.
Volete sapere come andò a finire per gli Ebrei in Sardegna? Non è rilevante ai fini… e va bene: ve lo racconto lo stesso. Prosperarono e vissero in condizioni molto migliori di quelle riservate ai loro parenti continentali, senza quelle atroci persecuzioni che funestarono le comunità in tutta Europa, finché nel 1492 i dominatori spagnoli non li costrinsero a scegliere tra l’esilio e la conversione. E allora molti rimasero.
Alla fine della dominazione romana, sbarcano in rigoroso ordine cronologico Vandali, Mauri, Ostrogoti, Arabi, Pisani, Genovesi, Aragonesi, Corsi, Liguri, Piemontesi e infine turisti da tutto il mondo.
In ogni suo periodo, la Sardegna ha accumulato meravigliosi tesori architettonici, linguistici, gastronomici, musicali che risentono fortemente di quella tendenza mediterranea a mescolarsi, pacificamente e non. Scoprirli attraverso la storia, l’archeologia e l’antropologia è forse un buon antidoto al razzismo, come e forse meglio di un kit genetico.
Se con una tale contaminazione i sardi sono considerati geneticamente “vicini” al popolo neolitico che colonizzò l’isola, figuriamoci quanto sono “bastardi” gli altri italiani!
Sono nato sul pianeta Terra verso la metà degli anni sessanta. La prima grande notizia che ricordo è lo sbarco sulla Luna e ancora oggi mi ispira l’immagine fantasiosa che l’accompagnava: un nero in tuta d’astronauta che suona la tromba mentre il mio pianeta sorge all’orizzonte. L’amore per la narrativa fantastica, la scienza, la musica, i diritti umani e anche per i giochi di prospettiva magari non viene solo da lì, tuttavia mi piace pensare che quel fotogramma, nato dalla confusione di un bambino e ancora poeticamente impresso nella mente a 50 anni di distanza, ha giocato un ruolo importante. Mi occupo di ascoltare, raccontare e ragionare insieme alle persone e amo farlo in modo piacevole, allegro, conviviale. Sono informatico e autore di narrativa di genere, lavoro in ambito editoriale, nell’organizzazione di eventi, nella comunicazione, nella formazione e molto altro. Ficco il naso in mille argomenti, studiando con grande gioia tutto quello che incontro davanti a me e cercando di mantenere una visione generale, di non perdere il senso delle cose.
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