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Paola Di Nicola, in occasione di una presentazione del suo recente volume “La mia parola contro la sua”, esortava gli uomini a farsi carico di una riflessione pubblica sul ruolo che intendono giocare contro i pregiudizi e gli stereotipi nei ruoli di genere. Le donne denunciano le discriminazioni e le violenze di cui sono vittime, reclamano diritti e combattono per ottenerli. Gli uomini che fanno? Si oppongono a un processo ineludibile o diventano “coraggiosi partigiani” (…) a fianco delle donne “per vincere questa difficile battaglia per un mondo profumato di libertà e dignità”? Ma innanzitutto perché restano muti? Perché non prendono la parola?
Vorrei provare a rompere il silenzio proponendo qualche riflessione da un punto di vista maschile. Mi assumo questa responsabilità, accettando la sfida. Operazione rischiosissima, perché il tema è estremamente complesso e ogni affermazione può essere facilmente fraintesa. Ma ne vale la pena e, soprattutto, il tempo è maturo.
Quale il punto di partenza? Uno solo è ragionevole: riconoscere che pregiudizi e stereotipi sono tutt’altro che superati, prendere atto che le discriminazioni nei confronti delle donne persistono. Anzi, nell’Italia segnata da una crisi lunghissima e drammatica, si accentuano ulteriormente. La percentuale di donne nel mercato del lavoro è a un livello intollerabile se paragonata agli altri Paesi europei. L’aumento della presenza femminile in ruoli di responsabilità cresce a ritmi troppo lenti. L’organizzazione familiare e sociale continua a gravare sulle spalle delle donne, rendendo impossibile valorizzarne i talenti e acquisire a pieno il loro contributo allo sviluppo. Per di più attraversiamo un periodo di evidenti attacchi ai diritti delle donne.
Allora, siamo tornati agli anni 50? Non scherziamo, assolutamente no. Nelle settimane scorse mi è capitato di riascoltare in televisione alcune interviste di Pier Paolo Pasolini ai maschi dei primi anni 60. Delitto d’onore, reclusione casalinga, pregiudizi imperanti. Oggi siamo in un altro mondo.
Nulla è accaduto per caso. Alla base di questa vera e propria rivoluzione, anche se molti sembrano ignorarlo, ci sono le lotte condotte dalle donne a partire dagli anni 70. Attenzione, non è stata una passeggiata di salute, sono state battaglie durissime che hanno segnato intere generazioni, mettendo in discussione la vita di milioni di persone. Non ci sono stati soltanto i referendum per il divorzio e per l’aborto, c’è stato molto di più, qualcosa di irriducibile alle disinibite copertine patinate dei rotocalchi che oggi raccontano storie di donne di successo. Per questo i risultati durano nel tempo, per questo donne e uomini sono cambiati in profondità.
Cosa resta di quella stagione? Nelle donne la considerazione di sé, delle proprie potenzialità, l’allargamento delle prospettive, l’assoluta certezza di avere valore e meritare rispetto. E negli uomini? Difficile dirlo. Di certo abbiamo imparato a “sentire” la presenza attiva, determinante, “decisionale” delle donne in ogni campo: in famiglia, nel lavoro, nello sport, nel volontariato. Dovunque. Anche prima le donne c’erano ma solo oggi la loro partecipazione alla vita sociale è larga, decisiva, evidente.
Ma ci sono altre eredità da prendere in esame. Indubbiamente la stagione del femminismo ha evidenziato una profonda crisi di ruolo del maschio. Fino a qualche decennio fa l’uomo era certo del proprio ruolo. Oggi non è più così. Il confronto con la presenza femminile è ovunque ineludibile ed estremamente impegnativo, perché le donne sono competenti, decise, determinate, emergenti. Non ci sono più ambiti che si sottraggano a questa condizione. Qualcuno, a ragione, potrà affermare: “che c’è di strano?”. Nulla, naturalmente, ma siamo di fronte a un grande cambiamento. Quindi la parità di genere è ormai raggiunta? Non diciamo sciocchezze, la strada da percorrere è ancora lunghissima ma la percezione dei maschi è quella di “subire” un processo irrevocabile. Qualcuno se ne rallegra. Altri si oppongono con forza e resistono al cambiamento. La maggioranza è “spaesata”, non ha più certezze, è assalita da mille dubbi. Questo vale tanto per gli uomini maturi che non hanno più un “modello” a cui rifarsi, quanto per gli adolescenti che osservano “timorosi” le loro coetanee.
Il cambiamento è stato forte, oserei dire strutturale. Il protagonismo femminile cambia le relazioni uomo-donna. Ma come reagiamo noi uomini? Come affrontiamo questa fase nuova? Impossibile generalizzare (per fortuna). Su questo argomento di certo non si è affermata una riflessione pubblica. Al contrario di quanto accaduto per le donne. Le battaglie femministe si sono nutrite di discussioni collettive. La reazione maschile, al contrario, è silenziosa, individuale. Pochissimi gli esempi di elaborazione di gruppo. C’è riflessione dietro questo silenzio o solo muto sconcerto?
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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