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I monasteri delle Meteore e del Monte Athos – Prima parte

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Confesso, sono attratto dalle contraddizioni. Mi sembrano il motore del mondo. A volte affascinanti, a volte intollerabili. Sempre vitali. Evidentissime ai miei occhi visitando i Monasteri delle Meteore e, pur da lontano, quelli della penisola del Monte Athos. Il contesto: un viaggio organizzato nella Grecia settentrionale.

Come è noto le Meteore sono “rocce sospese” nel cielo. Così apparivano ai viaggiatori queste incredibili rupi in arenaria. In cima i monasteri ortodossi. Le prime notizie si riferiscono a singoli eremiti rifugiati su queste impervie montagne. Sembra che Barnaba vi trovò dimora dal 985 d.C., in una caverna. Dalla metà del XIV secolo ha inizio la costruzione delle prime chiese e dei monasteri. Nel 1382 il monaco Athanasios, proveniente dal Monte Athos, fonda l’enorme monastero di Megàlo Meteoro. Ne seguono ben 23. È un mistero come i primi eremiti abbiano raggiunto la sommità di questi pinnacoli, superando altissime pareti verticali. Di certo i materiali da costruzione, le merci e le persone per centinaia di anni sono saliti mediante arditi montacarichi ad argano, ancor oggi visibili. Le strade da Kalampáka arrivano solo negli anni 20 del secolo scorso, come le ripide scalinate che oggi consentono di raggiungere i monasteri. Dalla fine del XVIII secolo le Meteore vivono un periodo di profonda crisi, i monasteri sono abbandonati e si deteriorano. Oggi ne rimangono solo 6 e, per fortuna, sono tornati ad abitarli uomini e donne di fede.

Abbiamo avuto modo di visitare il Monastero Verlaàm, dal nome del primo eremita che ha vissuto su questa roccia nel 1350 (l’attuale monastero è stato fondato nel 1518), e Moní Rousánou della metà del XVI secolo, affidato alle cure di un gruppo di religiose. Non pensate a piccole precarie strutture. Al contrario, i monasteri sono imponenti, con ambienti dedicati a tutte le funzioni monastiche (chiesa, refettorio, celle, locali di servizio), comprese mura esterne di fortificazione che cingono l’intero perimetro della sommità del pinnacolo. Potremmo soffermarci a descrivere gli affascinanti affreschi del Katholikón dedicato ad Agioi Pántes (Ognissanti) o quelli non meno ipnotici della chiesa Metamórfosis. Ma non è solo nell’arte e nel panorama la suggestione delle Meteore. Straordinario è quanto è precluso al turista, quanto il visitatore può solo immaginare. Uomini e donne, per secoli, hanno abbandonato il mondo per cercare Dio nel silenzio e nella vita di piccole comunità in luoghi irraggiungibili, sospesi nel cielo, a contatto soltanto con gli elementi della natura. Basta poco per immaginare questa condizione, una nuvola che oscura il sole o un banco di nebbia che nega la vista del maestoso scenario. Basta qualche foto degli inizi del 900 per intuire quanto a noi contemporanei sembra incomprensibile.

Ma dov’è la contraddizione cui facevo riferimento? È nel rapporto tra il silenzio e l’isolamento della vita monastica e il caos dell’accesso turistico. Migliaia di persone si accalcano ogni giorno sui piazzali colmi di auto e bus, trasformandosi in una fila ininterrotta che occupa ciascun gradino delle infinite scalinate, ciascuno spazio dei locali monastici aperti al pubblico. Milioni di scatti vengono “condivisi”, attimo per attimo, sui social network, rendendo immediatamente disponibili luoghi per loro natura appartati. Cosa cerchiamo visitando le Meteore? Lo scenario naturale stupefacente? L’ardita opera dell’uomo? La conoscenza della spiritualità monastica? La banale occasione per dire agli amici “ci sono stato”? Non so rispondere. Nelle centinaia di volti incontrati non ho trovato risposta a queste domande. E così, per me, il turismo alle Meteore resta un enigma che merita di rimanere avvolto nel mistero.

Fine prima parte.

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