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È di pochi giorni fa l’appello apparso sul British Medical journal della Ong Medici con l’Africa Cuamm che chiede si ponga fine allo sfruttamento dei migranti braccianti impiegati in agricoltura. Infatti in soli sei anni sono state oltre 1.500 le vittime “morte per lavoro”, nonostante la legge sull’Agromafia già approvata.
Sostengono infatti i medici che i migranti braccianti che lavorano nei campi «sono tra gli schiavi del XXI secolo, quelli che guadagnano una miseria (12 euro per otto ore di lavoro nei campi) e affollano baraccopoli senza acqua e servizi igienici (le stime parlano di circa 100 mila migranti di diverse nazionalità in 50-70 baraccopoli sparse per il Paese lontane dai centri urbani), senza diritti, né accesso alla benché minima forma di assistenza sanitaria».
L’appello riporta numeri di vittime cui si aggiungono anche quelle uccise dal caporalato o in altri incidenti magari per raggiungere il luogo di lavoro o per l’assenza di qualunque sicurezza.
La Ong, insieme alle diverse istituzioni locali, presta aiuto dal 2015 con postazioni mobili con un totale di circa 5.000 consulti medici. I problemi di salute riscontrati dipendono principalmente dalle pessime condizioni di lavoro, di vita e igieniche cui sono costretti i migranti. Scrivono sul British i Medici con l’Africa Cuamm: «I nostri dati mostrano che le ragioni principali delle visite sono fatica e condizioni muscolo-scheletriche (46%); problemi dentali (19%); respiratori (10%); dermatologici (8%); ostetrici/ginecologici (4%); traumi (4%); problemi cardiovascolari (4%); oftalmici (2%); metabolici (2%); psichiatrici (1%). Quasi l’80% dei pazienti ha avuto bisogno di farmaci».
L’appello prosegue in modo diretto e duro: «Mancano chiari e definiti percorsi di assistenza per rendere gli interventi sanitari rapidi ed efficienti ed è difficile immaginare miglioramenti, data l’attuale situazione politica in Italia e il Decreto Sicurezza, che vede l’immigrazione solo come un problema di sicurezza nazionale. Bisogna porre fine allo sfruttamento dei braccianti agricoli che consentono di far arrivare pomodori italiani a basso costo in tutto il mondo. Ma quanto costano realmente questi pomodori, qual è il costo umano di questi prodotti?»
Sono nata a Milano il 3 giugno 1957 da genitori piemontesi. Mi sento però a tutti gli effetti milanese perché amo profondamente la mia città. Ho frequentato il Liceo Classico Omero, percorso di studi che rifarei senza alcuna remora. Amo tutta la letteratura e tutti i libri che siano degni di chiamarsi tali e possiedo una notevole libreria in casa, tant’è che ho fatto rinforzare i pavimenti.
Ho svolto nel corso degli anni praticamente tutti i lavori inerenti ad aziende di commercio alimentare, dall’import alla contabilità, alla conoscenza dei prodotti.
Sono poi passata a interessarmi di economia e finanza ma le mie passioni rimangono quelle umanistiche, in particolare la Storia. Mi piace molto scrivere, attività che ho sempre svolto con molta passione.
Adoro tutta la musica, da quella classica a quella contemporanea, da quella popolare a quella cantautoriale.
Mi diverto a cucinare i piatti della tradizione e, ahimè, oltre a cucinarli, li mangio.
Mi piacciono le sfide e amo confrontarmi con gli altri, per questo sono contenta di collaborare con Felicità Pubblica che me ne dà l’opportunità…
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