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Terminato lo shutdown in Usa, sedici Stati portano Donald Trump in tribunale

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Forse non tutti hanno seguito la vicenda dello shutdown negli Usa che è stato attuato dal 21 dicembre fino al 25 gennaio, ma certamente se ne è sentito parlare.

Tecnicamente lo shutdown è una procedura che si utilizza negli Stati Uniti ogni volta che il Congresso non riesce ad approvare una legge di bilancio: nella pratica viene bloccata ogni tipo di attività federale negli Usa, non vengono erogati fondi di alcun tipo, le attività di gestione si fermano e persino i dipendenti rimangono senza stipendio. Questo appena passato è stato il blocco più lungo nella storia degli Usa.

Ciò che ha fatto scattare lo shutdown è stata la richiesta del presidente Usa di un finanziamento per  5,7 miliardi di dollari per la costruzione del famoso muro al confine con il Messico, suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale del 2016.

Come avevamo già spiegato in questo articolo, dopo le elezioni di midterm dello scorso novembre, al Congresso i rapporti numerici sono cambiati, dal momento che la Camera è passata ai Democratici e il Senato è rimasto ai Repubblicani, da cui Donald Trump è stato eletto.

Ecco quindi spiegato il vero e proprio braccio di ferro tra il presidente e il Congresso che non ha ceduto alle pressioni di Trump che alla fine ha dovuto cedere, firmando una nuova legge che non prevedesse lo stanziamento dei fondi richiesti e dando quindi il via alla ripresa delle attività. Nel frattempo il Congresso ha autorizzato lo stanziamento di 1,3 miliardi per la costruzione di un reticolato al confine con il Messico.

Naturalmente la faccenda non si è chiusa in questo modo, perché al Tycoon non piace affatto perdere. Così, in data 15 febbraio il presidente Usa, parlando dalla Casa Bianca, ha decretato l’emergenza nazionale, dichiarando che il muro ai confini con il Messico è un problema di sicurezza, essendo necessario “fermare crimini, droga e invasione”.

Ma diversi Stati americani non ci stanno e infatti  è nata una coalizione di 16 Stati, guidata dalla California e New York, che ha avviato una proceduta legale contro il presidente per questa dichiarazione. Gli Stati che sostengono il ricorso per costringere Trump a fare marcia indietro sono, oltre a California e New York, Colorado, Connecticut, Delaware, Hawaii, Illinois, Maine, Maryland, Michigan, Minnesota, Nevada, New Jersey, Nuovo Messico, Oregon e Virginia.

Al di là delle procedure istituzionali contestate a Donald Trump, gli Stati hanno sottolineato che  “gli ingressi illegali di migranti sono al livello più basso degli ultimi 45 anni”.  Inoltre “non è stata fornita alcuna prova credibile dal dipartimento di Stato al fine di dimostrare che i terroristi utilizzano la frontiera meridionale per penetrare negli Stati Uniti” e ancora “le cifre ufficiali confermano che i migranti commettono meno crimini rispetto agli americani nati sul territorio nazionale”.

Infine, ultimo ma non per importanza, il ricorso indica come la decisione di Donald Trump sia pericolosa anche dal punto di vista ambientale poiché il ministero della Sicurezza interna non ha valutato in alcun modo l’impatto ecologico del muro sulle popolazioni locali, violando ancora una volta le normative vigenti negli USA.

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