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“Romanipé 2.0 – Maledetti dal popolo, amati dall’arte”: questo il titolo provocatorio del convegno che si è tenuto nei giorni scorsi al Teatro dell’Acquario di Cosenza. L’evento è stato organizzato nell’ambito del progetto “Romanipé 2.0“, iniziativa finanziata dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – promossa da Fondazione Romanì Italia, Social Hub e Talentraining, con la collaborazione dell’Università degli studi di Teramo e la testata giornalistica Felicità Pubblica.
L’iniziativa, che trae il titolo da uno studio sul tema dell’artista Bruno Morelli, ha rappresentato l’occasione per illustrare il progetto “Romanipé 2.0” con relativo corso di formazione in “Esperto di sviluppo delle comunità” attualmente in fase di svolgimento a Pescara, ma soprattutto per affrontare la tematica dei diritti umani con particolare attenzione riferimento allo “strano destino” delle comunità romanes.
La minoranza romanì, infatti, è da sempre oggetto di pregiudizi e di discriminazioni da parte della società civile, eppure nel mondo dell’arte esponenti di queste comunità hanno dato e continuano a dare un prezioso contributo artistico e creativo. Ma non solo. Gli esponenti della comunità romanes, infatti, hanno rappresentato spesso anche una fonte di ispirazione per opere d’arte; basta pensare ad alcune importanti opere di Picasso, Manet, Matisse, Toulouse-Lautrec, Goya o Modigliani.
Diversi i relatori che si sono alternati, moderati da Valerio Cavallucci di Social Hub e anticipati da un interessante intervento dell’assessore Matilde Spadafora del Comune di Cosenza che ha sottolineato come «per abbattere ogni pregiudizio, sia necessaria un’inversione culturale da promuovere soprattutto a partire dalle scuole, perché se i bambini riescono a vivere appieno l’inclusione si possono superare i molti problemi che oggi purtroppo esistono».
Ad annunciare la volontà di mettere in scena uno spettacolo teatrale dedicato alla comunità rom dal titolo “Camminano nel vento”, pur dopo la bocciatura del finanziamento statale auspicato per il sostegno delle attività, è stato invece Carlo Antonante, amministratore delegato del Centro Rat (Ricerche Audiovisive e Teatrali). Tale volontà è stata apprezzata dal presidente della Fondazione Romanì Italia, Nazzareno Guarnieri, che ha però evidenziato, nella sua relazione “Romanipé 2.0. La cultura romanì: una cultura vissuta, non recitata”, come spesso la figura del rom venga stereotipata – cappello per gli uomini o gonna lunga per le donne – e ridotta a mero elemento folcloristico. Guarnieri ha poi posto l’accento sul fallimento delle politiche comunali messe in campo in Italia negli ultimi 60 anni, che non hanno promosso alcuna forma di integrazione. «Oggi si può uscire dal buonismo e dall’assistenzialismo», ha evidenziato, «solo aumentando e valorizzando l’identità culturale delle comunità romanes. Ma per farlo bisogna creare un clima di fiducia perché i rom sono stati per troppo tempo discriminati. Il rischio concreto è, infatti, che perdano la propria identità culturale senza tuttavia acquisire quella del territorio in cui vivono».
La parola è passata, poi, all’attivista Fiore Manzo con la relazione “Corpi estranei: politiche inclusive per le comunità romanes nella città di Bruzi”, attraverso il quale è stato dimostrato, con scritti datati anche a partire dalla fine del 1600, come la presenza delle comunità romanes in Calabria e a Cosenza sia tutt’altro che recente. Manzo ha poi focalizzato a sua volta l’attenzione sulle politiche discriminatorie che hanno spesso fatto sì che, parlando di rom, si pensasse sempre prima alla sistemazione nei campi che nelle case.
A sfatare il falso “mito” del rom ignorante e dedito solo ad attività illecite è stato, invece, l’attivista Luigi Bevilacqua sottolineando come siano una decina i laureati presenti solo a Cosenza e altrettanti gli studenti attualmente iscritti all’Università o che inizieranno a frequentarla il prossimo anno perché oggi alle prese con la Maturità. «Purtroppo però», ha evidenziato, «troppo spesso non vengono presi minimamente in considerazione, neanche quando la loro formazione e la loro conoscenza delle comunità sarebbe fondamentale per affrontare e risolvere alcuni problemi, a cominciare da quello dell’inclusione e dell’integrazione».
A concludere il convegno è stato, infine, il consigliere comunale Luca Morrone con la presentazione della proposta di riconoscimento della comunità romanes come minoranza linguistica storica. Si tratta di un documento promosso dalla Fondazione Romanì Italia e che l’onorevole Ennio Morrone ha sposato, portandolo in Consiglio regionale della Calabria. «La proposta, molto semplice e snella», ha garantito il consigliere Morrone, figlio dell’onorevole, «è già stata approvata in Commissione e, non appena trovata la copertura finanziaria necessaria, arriverà anche sui banchi del Consiglio regionale». Oltre al riconoscimento culturale della minoranza linguistica, l’iniziativa prevede la costituzione di un Osservatorio e la nomina di un Garante.
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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