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A spasso con gli Etruschi, tra Cerveteri e Tarquinia

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Il suggerimento era giunto, qualche settimana fa, da una coppia di amici. “Abbiamo trascorso un bellissimo weekend a Tarquinia, possiamo darti qualche indicazione”. E’ bastata questa sollecitazione per mettere insieme un breve soggiorno nella Maremma meridionale: Cerveteri e Tarquinia, per l’appunto.

Ho visto mille volte testimonianze degli Etruschi, viaggiando dalla Toscana in giù. Ma, lo confesso, non avevo mai dedicato un’attenzione particolare a questo popolo che, nella mia immaginazione, restava assai misterioso. Non ho la minima intenzione di raccontare quel poco che ho appreso in questo giorni. Vorrei solo restituire lo stupore per la scoperta di luoghi che, sebbene noti a tutti, credo pochi abbiano visitato.

Naturalmente sono partito dalla necropoli di Cerveteri, sul Colle della Banditaccia, appena fuori dall’abitato. Un sito del tutto inatteso. Tra pini e cipressi, lungo una dolce collina, decine di tumuli sepolcrali. Non so come vi raffiguriate una Necropoli, ma io mai avrei immaginato ampie e basse strutture circolari, in pietra di tufo, con una copertura semisferica oggi sormontata dalla vegetazione: erba, muschio, arbusti, qualche alberello. Decine e decine di misteriosi tumuli nelle cui viscere, attraverso brevi camminamenti gradonati, si penetra nelle camere che accoglievano i defunti. In ciascuno di essi, a imitazione delle abitazioni dei vivi, più ambienti, scavati nella roccia, con letti sepolcrali diversi nelle forme per uomini, donne, bambini. Su questi giacigli, probabilmente avvolti in semplici sudari, venivano inumati i morti, in compagnia degli oggetti e dei cibi che li avrebbero dovuti accompagnare nell’altra vita.

Un’intera “città dei morti” scavata nel tufo. Decine di tombe a tumulo, alcune semplici altre monumentali, fino a trenta metri di diametro. Testimonianze dal VII e I secolo avanti Cristo. Un ambiente solenne, misterioso ma al tempo stesso intimo, sobrio, riservato. Una guida d’eccezione accompagna il cammino, Piero Angela, nelle brevi illustrazioni da ascoltare nelle principali tombe e nei filmati proiettati nell’aula didattica.

La visita deve necessariamente proseguire nel Museo Nazionale Cerite, ospitato nella Rocca donata allo Stato italiano dai principi Ruspoli. Qui si trovano i corredi funerari delle principali necropoli della zona, dalla Banditaccia al Sorbo, dalla Cava della Pozzolana al Monte Abatone. Il museo rende tutto più chiaro, a partire dal passaggio dalle più antiche necropoli villenoviane – con le urne cinerarie di forma biconica – all’inumazione nei tumuli con ricchi corredi funerari di buccheri, anfore, piatti finemente decorati, secondo le usanze e le influenze culturali del periodo. Anche in questo caso viene in soccorso un interessante allestimento che si serve di supporti interattivi, i cui testi sono interpretati in video dall’immancabile Piero Angela.

Non dimenticate, se il tempo lo consente, di dedicare qualche ora alla visita del suggestivo centro fortificato della Cerveteri medievale.

Sulla strada che conduce a Tarquinia una sosta al Castello di Santa Severa, in riva al mare, costruito attorno all’anno Mille, modificato nel XVI secolo, che tra le sue mura ospita un vero e proprio villaggio. Da non perdere l’incontro con il Signor Giulio, un simpatico chimico locale che accompagna i turisti alla scoperta del Museo del Territorio, spaziando dalle vicende delle cave di caolino del Monte Sasso, alle testimonianze paleontologiche di sua proprietà, alla storia della vita della comunità del Castello dagli inizi del Novecento.

Anche a Tarquinia la visita non può che iniziare dalla Necropoli. Qui lo scenario cambia del tutto. In primo luogo perché le tombe sono di epoca successiva, a partire dal V secolo avanti Cristo. In secondo luogo perché la Tarquinia antica, denominata La Civita, ebbe dimensioni notevoli ed economia assai florida. E così le tombe a tumulo appaiono riccamente affrescate, con immagini che evocano il defunto e la moglie, i figli, le occupazioni e gli interessi, gli intrattenimenti e gli usi del tempo. Evidentissimi gli influssi della cultura greca. Si rimane stupiti dal contrasto tra la buia discesa nelle viscere della terra e gli affascinanti cromatismi delle decorazioni pittoriche. In questo caso la narrazione della vita sembra essere più forte della morte.

Al momento sono visitabili 22 tombe, alcune davvero sorprendenti, come la Tomba della Caccia e della Pesca e la Tomba dei Leopardi, ma in nessuna rimarrete delusi. La buona sorte, inoltre, ha voluto che proprio nel giorno di visita il Fai proponesse un’apertura straordinaria della cosiddetta Tomba degli Scudi, attualmente in fase di restauro. Il rigore dell’illustrazione, il fascino del racconto dell’opera di restauro, la vividezza dei colori e la capacità evocativa dei dipinti – ammirati senza schermi e protezioni – hanno reso la visita davvero emozionante. Niente di strano, quindi, che nel 2004 la Necropoli dei Monterozzi (chiara allusione nel linguaggio popolare ai tumuli di terra che ricoprono le tombe) sia stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.

Anche in questo caso la visita prosegue nel Museo Nazionale Etrusco, ospitato nello splendido palazzo Vitelleschi. Impossibile riassumere i reperti in esposizione. In ogni caso visitare le sale del Museo consente davvero di comprendere la complessità e la ricchezza della civiltà etrusca. Mi limito, allora, a ricordare il celebre altorilievo dei Cavalli Alati, una scultura di eccelsa qualità che rappresenta una coppia di cavalli alati nell’atto di spiccare il volo, originariamente posizionata sulla trave lignea del frontone dell’Ara della Regina sull’altopiano della Civita, sede dell’antica Tarquinia.

Infine, almeno mezza giornata va riservata alla visita della Tarquinia moderna, dal VII secolo dopo Cristo trasferita su un colle vicino, prendendo il nome di Corneto.  Chiese, palazzi, case medievali e 18 torri conferiscono alla città un fascino del tutto particolare. Naturalmente i pezzi forti, se così si può dire, sono rappresentati dal già citato quattrocentesco Palazzo Vitelleschi e dalla Chiesa romanica di Santa Maria del Castello col grande fonte battesimale, il pavimento musivo e il pergamo di Giovanni di Guittone, senza dimenticare l’imponente Palazzo comunale e il complesso del Palazzo dei Priori. Ma ai più attenti suggerisco di non perdere chiese più piccole e appartate, dal fascino intimo, quali la Chiesa dell’Annunziata, quella del Salvatore o quella di San Giacomo. E neppure trascurerei gli spettacolari panorami che si aprono in più punti delle mura. Solo così sarà possibile comprendere alcuni versi del poeta tarquiniese Vincenzo Caldarelli, incise su una ceramica ai piedi di un maestoso albero nei pressi della Porta Nuova: “Qui tutto è fermo, incantato nel mio ricordo. Anche il vento”.

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