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Avevo poco più di 24 anni quando Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, fu trucidato sull’altare, il 24 marzo del 1980. L’emozione fu enorme. Erano anni di forte contrapposizione ideologica. La mobilitazione contro le dittature centro e sudamericane, spalleggiate dai governi americani, costituiva parte integrante del nostro impegno politico. E nella Chiesa la teologia della liberazione sembrava indicare una scelta di campo a favore dei poveri e degli oppressi. Monsignor Romero, ucciso durante la celebrazione della Messa, appariva ai nostri occhi come simbolo di martirio, testimonianza di infinito amore per il suo popolo e segno della suprema crudeltà del potere.
Allora sapevo ben poco della storia di Romero. La mia visione era “semplice”, schematica. Solo molto più tardi ho avuto modo di conoscere qualcosa della vita, della formazione e del percorso di fede. Così ho scoperto la sua educazione conservatrice e il successivo “ritorno al popolo”, una scelta intransigente in difesa degli ultimi contro oligarchi e militari. Una scelta divenuta tanto più netta quanto più crescevano le responsabilità nella comunità ecclesiastica. “Monsignor Romero fu ucciso il giorno dopo aver rivolto un appello ai militari perché non uccidessero i loro stessi fratelli. Romero chiedeva che cessasse la repressione, chiedeva di non utilizzare bambini per bonificare campi minati. Usava il pulpito domenicale per diffondere notizie, per fare una sorta di inchiesta pastorale sullo scempio della guerra”.
Allo stesso modo nulla sapevo del tentativo post mortem di gettare discredito sulla sua vita e di infangarne la memoria. E’ stato lo stesso papa Francesco a ricordare le numerose lettere anonime arrivate in Vaticano che lo accusavano di voler far carriera proteggendo i marxisti, di essere stato un donnaiolo, di aver amato una guerrigliera, o al contrario, di essere stato omosessuale o di aver nascosto armi.
Oggi la Chiesa dichiara santo Oscar Romero. E lo proclama insieme a papa Paolo VI, al sacerdote Francesco Spinelli, fondatore dell’Istituto delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, al sacerdote Francesco Romano, alla tedesca Maria Caterina Kasper, fondatrice dell’Istituto delle Povere Ancelle di Gesù Cristo, a Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù March Mesa, spagnola vissuta a lungo in America Latina, fondatrice della Congregazione delle Suore Misioneras Cruzadas de la Iglesia e a un laico, l’abruzzese Nunzio Sulprizio, morto a soli 19 anni.
Non ho alcuna cognizione in merito ai processi di canonizzazione. So soltanto che nella tradizione biblica il termine santo “denota qualcosa di separato, esclusivo o riservato a Dio; indica la condizione di chi o di ciò che è messo da parte per il servizio di Dio”. I seguaci di Cristo, quindi, sono “santi”, senza per questo avere eccezionali attribuzioni. Oscar Romero è stato certamente santo, fedele a Cristo e al suo popolo, fino al martirio. Come ha affermato papa Francesco “San Oscar Romero ha saputo incarnare con perfezione l’immagine del buon Pastore che dà la vita per le sue pecore”.
Un’ultima considerazione. Attenzione, Romero non merita di diventare un “santino”. In proposito ha usato argomentazioni efficaci Claudia Fanti su Il Manifesto del 14 ottobre. Tuttavia il rischio agiografico in salsa buonista è inevitabile, così come negli anni Ottanta abbiamo corso un parallelo rischio ideologico. Invece la canonizzazione di Romero deve stimolarci a conoscere sempre meglio il percorso di vita di un “santo” e della sua radicale fedeltà a Cristo e al suo popolo.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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