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“Algoritmi di libertà” di Michele Mezza

È la volta di un libro complesso, ricco, per alcuni versi difficile. Non è proprio quel che si dice “una lettura da ombrellone”. Numerosi i riferimenti filosofici, sociologici, storici, ma non aspettatevi un testo soltanto teorico o addirittura noioso. L’attualità invade ogni pagina e l’autore non fornisce mai interpretazioni scontate.

Stiamo parlando del più recente lavoro di Michele Mezza, Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, con prefazione di Giulio Giorello, edito da Donzelli nella Collana Saggine.

Due parole sull’autore. Michele Mezza è in primo luogo un giornalista di lungo corso. Per 35 anni alla RAI è stato a lungo inviato di Radio Rai, guadagnando sul campo il Premio Calabria nel 1993 per i servizi sull’Unione Sovietica e il Premio Oscar della Radio per i resoconti sulle guerre iugoslave. Alla fine degli anni 90 ha curato e realizzato il progetto di Rainews24, primo canale all-news della televisione italiana, del quale è stato vicedirettore. Al contempo Mezza è studioso di giornalismo, nuovi mass-media, tecnologie digitali, multimedialità, argomenti ai quali ha dedicato numerosi saggi e volumi. Inoltre da anni insegna nelle Università italiane, da ultimo Sociologia della cultura digitale presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.

Qual è il tema dell’ultima ricerca di Mezza? La risposta è nelle prime pagine del volume. “Oggi il termine tecnologia, come una stella nova, si è talmente espanso da aver perso ogni caratteristica originaria, coincidendo ormai con la nostra stessa vita. Se la tecnologia è la galassia, il sole che anima il nostro universo è l’algoritmo, motore e ordinatore degli automatismi socio-tecnologici. Ogni volta che incontriamo il termine computer o, appunto, tecnologia, dobbiamo inesorabilmente sostituirlo con algoritmo. Allora la nostra non è più la società dell’informazione o della tecnologia: è il mondo degli algoritmi. Degli algoritmi e dei loro proprietari”.

Il mondo degli algoritmi, quindi. Ma cosa sono gli algoritmi? Tutti ne abbiamo esperienza, diretta o indiretta. Conosciamo chi li ha creati, dove agiscono, chi li utilizza. Sono infatti gli algoritmi che governano i motori di ricerca, i sistemi di prenotazione, le piattaforme della logistica, le funzionalità dei nostri smartphone. Agli algoritmi associamo i nomi dei grandi player digitali da Google a Apple, da Amazon a Booking o Airbnb.  Ma degli algoritmi si servono ormai anche le pubbliche amministrazioni, basta pensare alle modalità di formulazione delle graduatorie nell’assegnazione delle cattedre di insegnamento. Eppure quando sentiamo questo termine siamo portati a pensare a qualcosa di misterioso, formule che solo pochi eletti possono conoscere, strumenti alla cui presenza possiamo solo rassegnarci, impotenti.

In realtà “un algoritmo non è altro che una procedura sistematica di calcolo, più specificamente una sequenza di istruzioni non ambigue che muovono da un problema e ne costituiscono la soluzione in modo univoco (ovvero deterministico) in un numero finito di passi”. Nulla di occulto, quindi. Il problema, piuttosto, è la proprietà e il controllo di queste procedure di calcolo, ora in mano a pochissimi, a fronte di una “stragrande maggioranza di esecutori”.

Eppure tutto questo nasce da una prepotente aspirazione alla libertà. In Italia con Adriano Olivetti e la sua “tecnologia della libertà”, gli esperimenti elettronici per il calcolatore Elea 9003, il programma 101. Negli Stati Uniti nella Silicon Valley, nei garage dei “ragazzi ribelli del mondo digitale” che volevano sfidare il gigantismo della Nasa e della IBM.

Come è stato possibile che quei giovani ribelli siano diventati i nuovi giganti, gli attuali “over the top”, i nuovi “controllori” del mondo? Cosa è rimasto (se è rimasto) della loro ribellione? C’è traccia di quell’originario imprinting libertario e comunitario? Non possiamo dimenticare, infatti, che l’iniziativa dei giovani ribelli della California era autentica iniziativa privata all’insegna della libertà, contro il potere costituito. Eppure, dopo qualche decennio, proprio l’ambito privato è diventato il dominio incontrastato dei nuovi colossi digitali.

Allo stesso tempo la Cina e la Russia si affermano come “algoritmo nazione”, e possiamo immediatamente intuire la criticità del rapporto tra pubblico e privato alle diverse latitudini del mondo digitale.

Eppure, in questo quadro assai complesso e problematico, Mezza apre una speranza inattesa. Finora “gli algoritmi dei monopolisti della rete non sono stati né negoziati né tanto meno contestati” mentre all’autore sembra possibile “imporre una contrattazione degli algoritmi”. E quali sarebbero i protagonisti di questa negoziazione? La risposta è da trovare negli “ambiti di impatto diretto fra algoritmi e comportamenti sociali, quali sono le attività di consumo, di utenza di servizi e di distribuzione dell’informazione”. E allora, i consumatori, le città, le università, le categorie professionali. Grande assente da questi processi di radicale innovazione è la politica tradizionale.

In definitiva, quale futuro attende chi non vuole rassegnarsi alle tentazioni imperiali di Google e Facebook? “Una nuova stagione di conflittualità digitale, dunque, dove la potenza di calcolo non è più un paradigma esclusivo ed escludente ma il luogo di un nuovo patto sociale fra calcolanti e calcolati, è l’unico modo per salvaguardare l’anima libertaria e liberante della reticolarità digitale”.

 

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