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«La guerra in Sud Sudan è una guerra trascurata, non è conosciuta, non è visibile sui media. Non è una guerra dimenticata, io preferirei usare l’espressione trascurata». Queste le significative parole di Arnauld Akodjenou, consulente speciale dell’Alto Commissariato per i rifugiati in Sud Sudan che parla di una guerra che «non appare sul grande schermo».
Nel frattempo, però, i minuti si sommano ai minuti e diventano ore che poi diventano giorni e la gente fugge disperata oppure muore. Proprio in questo momento «oltre 2,5 milioni di persone del Sud Sudan sono rifugiate nei 6 Paesi limitrofi, questa cifra equivale a un terzo dell’intera popolazione di questo Paese. In Africa ci sono molti più migranti di quanti non ce ne siano fuori da essa».
Non troppo tempo fa si era parlato di costruire degli hotspot nei Paesi di transito, in modo da capire quali siano i migranti con diritto all’asilo politico. In merito alla questione Akodjenou spiega: «Per commentare adeguatamente il progetto hotspot, bisogna sapere esattamente quello che c’è dietro, cosa vuole dire, quali sono le regole, quali sono i meccanismi di implementazione, quali potrebbero essere le conseguenze, non soltanto per i migranti ma anche per i Paesi nei quali saranno costruite queste strutture. Per il momento, il mio ruolo è quello di gestire la situazione nel Sudan del Sud. La tragedia umanitaria che sta attraversando questo Paese richiede sempre più assistenza sia da parte dei Paesi limitrofi sia dall’Unhcr, che ha bisogno di implementare le risorse».
«Sono sconvolto dalla resilienza dei rifugiati e degli sfollati sud sudanesi – ha proseguito Akodjenou Akodjenou -, l’esodo ha raggiunto una dimensione semplicemente incredibile. Dopo quasi 5 anni di conflitto il popolo sud sudanese è allo stremo delle forze e chiede che l’orrore finisca. Il conflitto deve terminare, la risposta umanitaria deve intensificarsi e tutti abbiamo la responsabilità di fare il massimo possibile per aiutare i bambini, le donne e gli uomini sud sudanesi costretti a lasciare le loro case». La domanda è come fare, molto semplicemente. Akodjenou Akodjenou spiega il suo punto di vista: «La situazione nel Sudan del Sud è un singolo elemento di una situazione globale di popolazioni in movimento, per risolvere la quale sarebbe importante sedersi a un tavolo tutti assieme per discutere quella che potrebbe essere una soluzione a livello nazionale, regionale e continentale, tutto questo tenendo in mente i valori di base che condividiamo come essere umani e allo stesso tempo l’elemento più grande che ci rende generosi verso chi soffre».
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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