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Aborto: luci ed ombre 40 anni dopo l’approvazione della Legge 194

Sono trascorsi esattamente 40 anni da quando l’Italia ha dato il proprio via libera alla legalizzazione dell’aborto. Era il 22 maggio del 1978, infatti, quando venne approvata la Legge 194 che non annoverava più l’interruzione volontaria di gravidanza tra i reati penalmente perseguibili. La legge fece molto discutere e appena tre anni dopo gli italiani furono chiamati, con un referendum, a decidere sul delicatissimo tema che divideva – e lo fa tuttora – gli animi in un Paese fortemente cattolico (almeno all’apparenza). La risposta degli abitanti del Belpaese fu netta: la legge sull’aborto andava mantenuta.

Da allora, dicevamo, sono passati 40 anni e ancora oggi la legge italiana sembra essere tra le migliori al mondo. A certificarlo è l’ultimo rapporto del Guttmacher Institute [1], una delle principali organizzazioni di ricerca e politica impegnata a promuovere la salute, i diritti sessuali e riproduttivi nel mondo. I dati certificano una diminuzione delle interruzioni di gravidanza nei Paesi che hanno legalizzato l’aborto – dove peraltro l’interruzione di gravidanza è una pratica più sicura – rispetto a quelli in cui questa possibilità viene ancora preclusa alle donne. Sembra un controsenso ma non lo è. Nei Paesi in cui l’aborto è illegale, infatti, questo tipo di intervento viene effettuato in maniera clandestina e questo spesso provoca gravi problemi di salute alle donne che vi si sottopongono.

Tornando ai dati, dove l’aborto è illegale ci sono 37 interruzioni ogni mille donne, mentre dove è permesso la media è di 34. In Italia, le interruzioni di gravidanza volontarie, stando ai dati 2016 e fino a ottobre 2017, sono scese per la prima volta sotto la quota 60.000 per le cittadine italiane. La Relazione annuale del Ministero della Salute sull’applicazione della Legge, spiega che il calo segue la tendenza degli ultimi tre anni, anche se è di entità minore rispetto al 2014 e al 2015.

Dalla Relazione è emerso poi che le ragazze italiane ricorrono di meno all’interruzione volontaria di gravidanza: tra le minorenni, il tasso di abortività per il 2016 è risultato pari a 3.1 per 1000. Valore identico a quello del 2015, ma in diminuzione rispetto agli anni precedenti, con livelli più elevati nell’Italia centrale. Tuttavia il dato resta sempre più basso rispetto a quello degli altri Paesi dell’Europa occidentale.

Secondo i numeri forniti dalle Regioni, poi, risulta che le giovanissime, tra i 15 e i 20 anni, delle generazioni più recenti mostrano un comportamento diverso rispetto a quello di altre fasce d’età: negli ultimi anni è stato registrato un aumento, seguito da una stabilizzazione e poi da una diminuzione, quest’ultima meno evidente nelle 15-16enni. Un andamento che potrebbe essere legato all’aumento per le giovanissime del numero dei partner, che si ridimensiona con l’età, e all’inizio sempre più precoce dei rapporti sessuali. Al tempo stesso in questa fascia di età risulta una minore diffusione della pillola, rispetto ad altri Paesi europei dove tuttavia resta più alto il tasso di abortività.

Quanto alle donne che ricorrono all’interruzione di gravidanza in Italia, un terzo è rappresentato dalle straniere, così come donne con titolo di studio più basso presentano valori di abortività più elevati in tutte le generazioni.

Anche alla luce di questi dati, l’approvazione della Legge 194 – lasciatemelo dire – ha rappresentato un grande passo avanti nei diritti delle donne, non solo in termini di libertà di scelta ma anche e soprattutto nella tutela della loro salute. Ma restano comunque ancora delle zone d’ombra. Mi riferisco innanzitutto al problema degli obiettori di coscienza: seppure considero sacrosanto il loro diritto a non effettuare le interruzioni di gravidanza, allo stesso tempo non posso non condannare il sistema sanitario che non garantisce alle donne la presenza di medici non obiettori a loro disposizione nel caso in cui decidessero di intraprendere questo doloroso percorso.

A tal proposito interviene l’Associazione Luca Coscioni che, in occasione dell’anniversario della Legge, lancia 4 proposte concrete per la tutela della salute riproduttiva.

«Il punto», spiega l’Associazione, «è regolamentare l’obiezione di coscienza (al Sud coinvolge l’83,5% dei ginecologi) e favorire la pillola al posto dell’intervento chirurgico, privilegiando il Day Hospital ed evitando così un ricovero di tre giorni, risparmiando risorse da investire in consultori, contraccezione e nella promozione di una corretta informazione per tutti».

Queste, dunque, le 4 proposte: regolamentare l’obiezione di coscienza perché in Italia, come afferma l’associazione, nonostante l’aborto sia legalizzato, l’obiezione di struttura, non ammessa dalla Legge 194 (solo il 60% degli ospedali con reparto di ostetricia ha un servizio IVG) e la dilagante obiezione di coscienza, aggravano anno dopo anno il disservizio in molte Regioni, limitando di fatto il diritto alle scelte riproduttive e alla salute di molte donne che vivono nel nostro Paese; favorire la pillola RU 486 al posto dell’intervento chirurgico; privilegiare il Day Hospital evitando un ricovero di tre giorni; risparmiare risorse da investire in consultori e contraccezione.

Si tratta di proposte semplici e concrete che consentirebbero non solo alle donne di trovare meno ostacoli nel loro percorso verso l’interruzione di gravidanza, ma anche al sistema sanitario di risparmiare milioni di euro. Ma soprattutto consentirebbero all’Italia di non fare sempre la parte del Paese incoerente, che con una mano ti dona un diritto e con l’altra te lo porta via.

Il direttore

Vignetta di copertina: Freccia [2].

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