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Profumano e ci danno la sensazione di essere puliti eppure deodoranti e saponi inquinano tanto quanto lo smog delle automobili.
La scoperta, recentemente pubblicata su Science, dimostra come le sostanze chimiche presenti in molti prodotti deputati all’igiene personale alimentino l’inquinamento atmosferico. La colpa parrebbe essere tutta dei “voc”, acronimo che sta per (volatile organic compound): composti organici volatili che interagiscono con altre particelle presenti nell’aria fino al punto di ricreare gli elementi costitutivi dello smog.
A guidare questo gruppo di ricerca è stato Brian C. McDonald, scienziato del Cooperative Institute for Research in Environmental Science all’University of Colorado, che si è ispirato alle rilevazioni emerse relativamente al traffico di Los Angeles: la città californiana infatti presenta concentrazioni di particolato e ozono ben superiori a quelle derivanti dalle sole emissioni dei mezzi di trasporto.
Non si allarmino però gli appassionati di profumi a cui sta a cuore anche l’ambiente: rassicuranti notizie arrivano dal mondo della cosmesi. Esistono infatti molti prodotti per il corpo, per lo più biologici, che, oltre a estasiare l’olfatto, non recano danno alcuno alla Terra. Come accade di frequente, le scelte che compiamo quando facciamo la spesa possono incidere enormemente sull’ecosistema. Il consiglio dunque? Sempre lo stesso: leggere l’etichetta prestando particolare attenzione alla composizione chimica dei prodotti che vorremo acquistare e, solo allora, consci dei benefici e dei danni che l’acquisto comporterebbe, fare la propria scelta.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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