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Buona, anzi, deliziosa l’aragosta ma è giusto rispettare gli animali evitandogli inutili sofferenze. E’ su questa scia che si pone la nuova legge svizzera che dal 1 marzo imporrà il divieto di bollire vive le aragoste.
Il consiglio federale svizzero ha deliberato che i crostacei dovranno essere storditi prima di finire in pentola ma non è questa l’unica novità: a difesa di questi animali c’è anche il divieto di trasportarli in casse con ghiaccio. Aragosta e astice dovranno essere tenuti in vasche di acqua marina.
Dietro alla normativa c’è una questione etica che affonda le sue radici negli studi scientifici: è stato infatti scoperto che questi crostacei hanno un sistema nervoso più sviluppato rispetto a quanto si credeva in precedenza e che sono sensibili al dolore provocato dall’acqua bollente.
E in Italia? Anche nel nostro Paese aragosta e astice sono tutelati: è vietato, ad esempio, tenerli sul ghiaccio con le chele legate e anche, in teoria, cuocerli vivi ma, occorre ammetterlo, su quest’ultimo punto permangono incertezze. Il reato, stabilito dalla Cassazione, fa riferimento all’articolo 727 o 544 del Codice penale e punisce «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche».
Morte compassionevole, dunque, per tutti: uomini e animali. Era ora!
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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