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Ripabottoni è un comune molisano di 553 anime che va controtendenza: se nel resto d’Italia si fanno gli scongiuri per non avere centri d’accoglienza e migranti a zonzo per strada, il paesino in provincia di Campobasso ha lottato fino all’ultimo affinché i richiedenti asilo non andassero via.
Da qualche tempo Ripabottoni aveva accolto trentadue giovani migranti presso il Centro di accoglienza straordinario (CAS) “Xenia”. L’iniziale perplessità della popolazione aveva subito lasciato posto al sentimento di solidarietà rendendo la convivenza tra le due culture un esempio vincente di accoglienza e integrazione. Gli abitanti di Ripabottoni hanno fatto di tutto per far sentire i nuovi arrivati dei cittadini della comunità e i migranti, da parte loro, hanno portato entusiasmo e nuova energia a un Comune, come molti del nostro Stivale, in piena crisi demografica. Le cose insomma andavano bene ma a spezzare gli equilibri è arrivata, qualche giorno fa, una brutta doccia fredda: la palazzina che ospitava i richiedenti asilo è stata chiusa e i trentadue giovani africani, come decretato dalla Prefettura, sono stati immediatamente trasferiti.
A nulla sono valse le 152 firme raccolte in men che non si dica dagli abitanti di Ripabottoni a favore della permanenza dei migranti: la Prefettura ha confermato la sua decisione motivando la scelta con l’incompatibilità del territorio nell’avere sia un CAS che uno SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati).
Le solite questioni burocratiche dunque, peccato che questa bella storia si sia conclusa così malamente. Su Facebook, intanto, sono molti i messaggi di arrivederci da parte di migranti e cittadini. Seppur brevemente, noi di Felicità Pubblica abbiamo comunque voluto raccontare questa vicenda perché, al di là dell’epilogo, racconta di un’Italia bella capace di abbracciare, non solo respingere, chi ha bisogno.
Un grande in bocca al lupo, da parte nostra, ai trentadue migranti e a Ripabottoni, paese dell’accoglienza.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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Grazie per ciò che è stato fatto da voi . Un esempio di civiltà Morale e Umana.