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I sogni sono stracci di nuvole, scomposti e inconsistenti. Sono la mia consolazione e il mio tormento. Mi fanno sentire vivo, capisci? Vivo come non sono mai stato.
Un appiglio a cui aggrapparsi per risalire, lentamente, e tornare a vivere. È anche questo un sogno: una possibilità, un’occasione per guardare avanti e dire “ci sono, nonostante tutto”. Che sia un’utopia o qualcosa a portata di mano non importa, l’importante è che quel sogno ci sia perché, essendoci, dà una speranza e, con essa, la forza di alzarsi la mattina per ricominciare e tornare a vivere.
La bambina e il sognatore, romanzo di Dacia Maraini uscito nel novembre 2015 per la Rizzoli, è proprio questo: un lento percorso di riabilitazione alla vita di un padre, Nani, a cui la leucemia ha sottratto per sempre il bene più prezioso, la figlia Martina. La paternità gli è stata negata ma non l’amore: Nani non si arrende a questa perdita ed elabora il lutto concentrando le proprie energie su Lucia, una bambina simile a Martina, che, una mattina, viene misteriosamente rapita.
Pur non conoscendola, Nani si sente legato a Lucia e non può sopportare questa scomparsa, un’altra. La notte prima del rapimento Nani sogna una bambina con indosso un cappottino rosso e degli stivaletti di gomma bianca. Al risveglio scopre che la piccola sparita nel nulla indossava proprio quegli indumenti. Un’insolita coincidenza per molti ma non per Nani che dà al rapimento un significato tutto particolare: convinto che ci sia un legame tra lui e Lucia, Nani inizia a indagare. È certo che questa volta ce la farà: Lucia è viva, lo sente, e tocca a lui salvarla. La riporterà a casa, lo farà anche per Martina. Perché chi è stato padre, lo rimane per sempre.
La trama, lunga e avvincente, appassiona con facilità il lettore il quale, condotto nei più intimi pensieri umani, è invitato a comprendere la psicologia del bene quanto quella del male, a riflettere sul dolore e ad affrontare questioni d’attualità come la violenza sui minori.
Avvertendovi sin da subito che non si avrà tra le mani un romanzo propriamente giallo, consiglio questo libro agli aspiranti Sherlock Holmes, a chi ha perso una persona e si chiede se sia possibile colmarne l’assenza, a chi, ogni giorno, lotta per provare ad essere quello di un tempo, a chi infine, come Nani, è un sognatore che, avendo imparato a sognare, non smetterà mai di credere in una soluzione.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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