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Uscire dalla violenza, ribellarsi e denunciare. E’ questa l’unica strada che una donna deve percorrere per essere davvero libera. Spesso però i freni che impediscono di dire basta, una volta per tutte, sono troppi e anche solo pensare di divincolarsi sembra impossibile. Il contesto culturale, inteso come luogo nel quale si è cresciuti, incide profondamente sul carattere di un individuo rendendolo, spesso, abituato a l’inenarrabile.
Ci sono luoghi nel mondo in cui dire basta è oggettivamente più difficile, luoghi in cui nascere donna è una sventura da vivere come espiazione di un peccato mai commesso. Uno di questi luoghi è l’Afghanistan: qui decenni di guerre, insicurezza, impunità e un folle radicalismo religioso fanno sì che la violenza contro le donne sia profondamente radicata all’interno del tessuto della società.
La legge sull’abolizione della violenza sulle donne è stata emanata, in Afghanistan, nel 2009 ma, nonostante siano passati quasi nove anni, stenta decisamente ad essere applicata. La cosa che nell’orrore lascia maggiormente sconcertati è che nei casi di violenza sessuale è la donna ad essere incolpata. Le prigioni afghane pullulano di donne accusate di aver commesso “crimini di offesa alla morale”.
Per tutte queste e molte altre ragioni COSPE onlus e CAMST, in collaborazione con CISDA e la Casa delle donne di Milano, hanno realizzato uno strumento utile per riconoscere e denunciare la violenza quotidiana in Afghanistan. Nasce così Exit from violence: un prontuario illustrato che, grazie all’ausilio delle immagini, consente alle donne afghane di comprendere che quello che capita loro quotidianamente è profondamente ingiusto. Già, perché molte di loro, essendo cresciute subendo o vedendo subire orrori, non percepiscono neppure che in certi atti vi sia qualcosa di sbagliato, qualcosa di mostruoso. Occorre dunque partire da zero: spiegare quali sono le leggi vigenti e quali i diritti ma, prima di tutto, è necessario riconoscere la violenza in ogni sua forma che essa sia domestica, fisica, sessuale, psicologica, istituzionale… “Exit from violence” è questo e molto di più: è una guida che contiene anche informazioni pratiche su cosa fare in caso di violenza, a chi rivolgersi, e come muoversi dal punto di vista legale per allontanare la persona violenta.
Oltre 10 mila copie del vademecum, tradotte e adattate per l’occasione al contesto afgano, verranno distribuite presso i centri antiviolenza e le associazioni afgane. “Exit from violence” è in lingua dari ma si compone soprattutto di immagini aderenti all’icografia afgana perché le illustrazioni rimangono maggiormente impresse nella mente del lettore ma soprattutto perché in Afghanistan l’analfabetismo femminile è all’84%.
E’ un piccolo passo in favore del mondo femminile afgano, una speranza per chi è vissuta e tuttora vive sulla sua pelle una quotidiana e bestiale ferocia.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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