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E’ fatto di microscopiche alghe il primo robot medico, grande suppergiù come una minuscola molla, in grado di eseguire piccoli interventi chirurgici e di trasportare i farmaci precisamente ove occorre aumentandone l’efficacia e riducendone, conseguentemente, gli effetti collaterali.
La prima sperimentazione del robot è avvenuta su cellule tumorali di laboratorio: grazie a segnali magnetici il robot di alghe è riuscito a orientarsi e a uccidere il 90% delle cellule maligne in sole 48 ore.
Da decenni gli ingegneri lavoravano per sviluppare un apparecchio in grado di viaggiare all’interno del nostro corpo. Questo fantastico portento della tecnologia, pubblicato qualche giorno fa sulla prestigiosa rivista Science, è stato costruito da Li Zhang e dal suo team di ingegneri dell’Università cinese di Hong Kong mostrando da subito il suo potenziale anche in occasione delle sperimentazioni effettuate su animali in vita. Nello stomaco di alcuni roditori il robot ha nuotato liberamente ed è stato monitorato attraverso il ricorso di piccoli magneti e della risonanza nucleare. Al fine di indirizzare con precisione la traiettoria del dispositivo tra i mille ostacoli presenti nel nostro organismo, Zhang ha pensato di magnetizzare il robot rivestendolo di nanoparticelle di ossido di ferro. Inoltre, grazie alla luce fluorescente prodotta naturalmente dall’alga spirulina – un’alga dalla forma elicoidale che vive in laghi salati e che già da secoli è utilizzata dall’uomo come ottimo integratore alimentare – i ricercatori hanno potuto seguire con precisione maggiore il percorso effettuato dal robot verificando che la destinazione finale dei farmaci fosse corretta. Ulteriori test hanno infine confermato che la spirulina produce un composto tossico per le cellule tumorali.
Il robot di Li Zhang necessita certamente di ulteriori verifiche prima di essere impiegato massicciamente. Gli ingegneri stanno lavorando intensamente per creare un robot medico che sia biocompatibile, dunque capace di degradarsi all’interno dell’organismo umano senza lasciare alcuna traccia, e che sia il più possibile a basso costo. Rimane ancora molta strada da compiere ma il percorso sembrerebbe ormai tracciato: in futuro la medicina sarà, in larga parte, in mano ai robot.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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