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A Maruggio (Taranto) quest’inverno fido non temerà il freddo. Perché? Perché il Comune pugliese ha deciso di dire addio ai canili – luoghi spesso tutt’altro che ospitali per i nostri amici a quattro zampe – e di adottare una soluzione alternativa che, siamo certi, i randagi del paesino avranno apprezzato: il progetto si chiama Un rifugio per ogni zampa e prevede l’istallazione di cucce di legno per i cani senza padrone.
L’idea, patrocinata dall’amministrazione comunale e dall’organizzazione animalista Zampettando, è stata portata avanti grazie al finanziamento di Tierfreunde Italien Ev, un’associazione tedesca che si occupa proprio del benessere dei cani senza padrone, che ha donato 3 mila euro in favore della lotta al randagismo. I soldi stanziati hanno permesso in parte l’istallazione, avvenuta qualche giorno fa, delle prime 22 “abitazioni canine” e, in parte, il finanziamento della campagna di sterilizzazione di cani e gatti. D’estate a Maruggio c’è anche stato il bau bar: il servizio di distribuzione di scodelle piene d’acqua nei quartieri del borgo tarantino.
Decine i volontari intervenuti in materia di emergenza canina: molti hanno persino seguito un corso al fine di ottenere una specifica qualifica d’intervento sul tema.
Complimenti dunque al Comune di Maruggio perché è tra i primi paesi pugliesi ad adottare provvedimenti concreti contro il randagismo e, cosa ancor più importante, l’ha fatto scegliendo soluzioni originali e a misura degli animali.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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