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Sì ai robot, purché non facciano il nostro lavoro!

– Direttore, c’è da scrivere l’editoriale.
– Scusate, ma questa settimana non ho tempo. Chiedetelo al robot!

Una scena surreale, che ovviamente non può che farmi sorridere. Eppure da qualche giorno questa ipotesi non mi sembra poi così assurda. Non lo è più da quando ho visto un robot indossare i panni di un maestro d’orchestra e salire su un palco per dirigere Andrea Bocelli e l’Orchestra Filarmonica di Lucca alle prese con l’esecuzione di brani di Verdi, Mascagni e Puccini.

E’ accaduto al Festival della Robotica di Pisa, ma la notizia è rimbalzata velocemente in tutta Italia dove in molti si sono indignati davanti a quello che è stato definito addirittura “un sacrilegio”.

Non che la robotica ci scandalizzi più di tanto. Ormai da anni, infatti, ci siamo abituati all’idea di vedere operai sostituiti dall’automazione industriale, non ci fa più impressione sentirci augurare buon viaggio dalla voce metallica del casello autostradale, ci fidiamo ciecamente dei robot utilizzati in medicina, così come abbiamo imparato a usare le biglietterie automatiche, i self service per il rifornimento di carburante o addirittura i totem touchscreen all’interno dei fast food per ordinare il nostro menù.

Ma quando si parla di arte, di ingegno, di creatività, insomma di emozioni umane, allora la questione è ben diversa. Non riusciamo a immaginare che un robot possa scrivere un libro, dipingere un quadro, cantare una canzone, recitare un’opera teatrale o, come in questo caso, dirigere un’orchestra, riuscendo a toccare le corde della nostra anima come farebbe una persona in carne e ossa.

Eppure la questione delle intelligenze artificiali è più complessa di quello che pensiamo e non perché siano a rischio i direttori d’orchestra o gli scrittori. Il tema merita attenzione a prescindere e ormai da tanti anni.

Uno studio dal titolo The Future of Jobs [1], pubblicato nel 2016 dal World Economic Forum, stima che il numero di posti di lavoro persi dal 2015 al 2020 in tredici dei Paesi più industrializzati del mondo (tra cui l’Italia) possa essere di 5,1 milioni.

Per questa ragione nei mesi scorsi Bill Gates aveva anche lanciato la proposta di tassare i robot così da finanziare altri lavori appannaggio degli umani. Una possibilità bocciata, però, dal Parlamento Europeo.

Eppure il tema resta aperto ed è più urgente che mai, perché mentre i direttori d’orchestra per il momento possono restare tranquilli sui loro palchi, migliaia e migliaia di altri lavoratori hanno già ceduto i loro posti a colleghi robotizzati e tanti altri rischiano di farlo a breve. E a differenze dei robot, i licenziati umani hanno famiglie e sentimenti reali e la loro nuova condizione di disoccupati crea problemi all’intera società.

In attesa di conoscere cosa accadrà nel prossimo futuro, speriamo intanto per il momento non insegnino ai robot a scrivere editoriali. Perché alla fine funziona sempre così: le cose ci interessano solo se ci toccano da vicino.

 

Il direttore

 

Vignetta di copertina: Freccia [2].

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