Portale di economia civile e Terzo Settore

Noi di Felicità Pubblica, siamo davvero sulla strada giusta?

37

Abbiamo staccato la spina per un po’, ma ora siamo tornati più carichi di prima.

Le ferie dopotutto servono a questo, a ritrovare le energie perdute, a ricaricare le batterie e a dedicarci ai nostri affetti e alle nostre passioni. Ma sono convinta che un periodo di riposo sia fondamentale anche per tracciare un bilancio del percorso intrapreso a livello lavorativo, per poter apportare dei correttivi laddove necessario o, nella peggiore delle ipotesi, cambiare completamente strada.

E’ per questa ragione che nelle due settimane di relax estivo che ci siamo concessi, in più di un’occasione mi sono fermata a riflettere sull’esperienza di Felicità Pubblica, sui temi che quotidianamente trattiamo e sulle sfide che ogni giorno cerchiamo di affrontare, non senza difficoltà.

Le domande che mi sono posta ripetutamente – che sono poi le stesse che hanno ronzato per settimane nel mio cervello quando due anni fa è iniziata questa splendida esperienza – sono state essenzialmente queste: “Ha senso parlare di felicità pubblica? E’ necessario raccontare belle notizie e buone prassi? C’è l’esigenza di parlare di diritti, sostenibilità, rispetto, solidarietà, accoglienza?”.

Domande difficili, alle quale non è così immediato dare delle risposte. Non è stato, infatti, il mio cervello a darmi delle soluzioni, ma il mondo che mi – ci – circonda. Le notizie di attualità che in queste settimane di pausa mi hanno raggiunto fin sotto l’ombrellone, purtroppo, sono servite a fare chiarezza più di qualsiasi riflessione analitica.

L’attentato di Barcellona, gli accoltellamenti in Finlandia, l’uccisione filmata con il telefonino di un ragazzo in vacanza sotto gli occhi di centinaia di persone immobili, i commenti razzisti di un commerciante nei confronti di una ragazza in cerca di lavoro che aveva come unico “difetto” quello di amare un uomo di colore, i rifiuti omofobi degli albergatori, l’odio sempre crescente del popolo del web nei confronti dei migranti. E ancora gli insulti di un automobilista multato nei confronti dei disabili ai quali spettava di diritto il parcheggio, il dramma quotidiano di molti Paesi del Sud del mondo, non ultima la tragedia avvenuta in Sierra Leone, o gli ecoreati che colpiscono giornalmente il nostro pianeta.

Sono solo alcuni degli argomenti di attualità che hanno riempito le pagine dei giornali in queste settimane e che sono stati sufficienti per farmi capire che forse davvero quella intrapresa è la strada giusta.

Sì. C’è ancora un grande bisogno di parlare di diritti e di protestare a gran voce per quelli negati. Sì. E’ ancora necessario parlare di sostenibilità ambientale e provare a contrastare i cambiamenti climatici. Sì. E’ più che mai attuale raccontare storie di cambiamento, di solidarietà e di accoglienza per provare a costruire un mondo migliore per i nostri figli.

Ed è con questa rinnovata certezza che io e i miei preziosi collaboratori siamo tornati alle scrivanie della redazione di Felicità Pubblica per continuare a percorrere questa strada insieme a voi, carissimi e fedeli lettori, certi che la nostra è una battaglia che si vince solo se ognuno, nel suo piccolo, ha la forza e il coraggio di fare la propria parte.

Il direttore

Vignetta di copertina: Freccia.

Sgomberi di Roma: scusate, ma io mi vergogno!
Codice per le Ong: non dimentichiamoci che parliamo di vite umane
1 Comment
  1. Carlo Antonello says

    Siamo in un mondo di abbondanza. Purtroppo ci sono elementi di potere che ci tengono allo scuro anche di semplici considerazioni come . Il lavoro crea benessere, Vorrei trovare qualcuno che non sia in accordo su questa affermazione. Il punto è che questa affermazione è quasi negata, e ci vuole un attimo per entrare in sintonia. Di fatto la cultura corrente preferisce farci dire, che non c’è il lavoro con la scusa che non ci sono i soldi per pagarlo, o la volontà di pagarlo poco, di fatto per negare il benessere personale, favorire diciamo le restrizioni personali , favorire cioè una forma di schiavitù. A quella abbondanza di lavoro , ovvero a quella abbondanza di persone che sono in grado di svolgere dei lavori, non è permesso di lavorare per il loro benessere bensì sottoposte a vessazioni per il vantaggio di pochi. Siamo talmente culturalmente formati a credere ciò che nella restrizione non abbiamo più tempo di ragionare e capire che in tutto ciò vi è un comportamento contro natura.

Leave A Reply

Your email address will not be published.

Loading Facebook Comments ...