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Come preannunciato in un recentissimo articolo della redazione (leggi l’articolo) l’Oxfam Briefing Paper di gennaio 2017, dedicato alle diseguaglianze e all’attuale distribuzione della ricchezza, contiene dati sconcertanti. La ricchezza si concentra progressivamente in pochissime mani lasciando alla stragrande maggioranza dell’umanità solo le briciole.
I paradossi della diseguaglianza illustrati dai dati Oxfam sono, talora, difficilmente immaginabili:
Ma, forse, l’espressione più efficace per descrivere lo stato delle cose consiste nell’opposizione tra l’economia per l’1% e l’economia per il 99%. All’esame di questa dicotomia sono dedicate alcune pagine del documento citato che di seguito riportiamo. Vi invitiamo a leggerle con attenzione perché, in modo schematico e apparentemente semplice, viene rappresentata la drammatica alternativa dei nostri giorni. Saremo in grado di sfatare i falsi miti e di correggere drasticamente la rotta?
I FALSI MITI DI UN’ ECONOMIA PER L’1%
L’attuale economia per l’1% si basa su una serie di presupposti errati che stanno dietro gran parte delle politiche, degli investimenti e delle attività di governi, imprese e individui ricchi, e che trascurano tutti coloro che vivono in povertà e la società in generale. Alcuni di tali falsi miti riguardano l’economia stessa; altri hanno più a che fare con quella visione dominante dell’economia che gli stessi suoi creatori definiscono “neoliberismo”, e che presuppone erroneamente che il benessere creato al vertice della piramide si diffonda a cascata verso il basso fino a raggiungere tutti. Il FMI ha identificato nel neoliberismo una delle principali cause della crescente disuguaglianza. Finché non sfateremo questi falsi miti non riusciremo ad invertire la rotta:
Abbiamo visto invece come la corruzione e il clientelismo condizionino i mercati a discapito della gente comune e come l’eccessiva crescita del settore finanziario porti la disuguaglianza a livelli estremi. La privatizzazione dei servizi pubblici come la sanità l‘istruzione o il settore idrico si è rivelata un fattore di esclusione per i poveri e specialmente per le donne.
Questi sei falsi miti devono essere rovesciati, e alla svelta. Sono obsoleti, retrogradi e non hanno generato né prosperità condivisa né stabilità. Ci stanno spingendo verso il baratro. Vi è urgente bisogno di un modello alternativo per il funzionamento della nostra economia: un’economia umana.
UN’ECONOMIA UMANA PENSATA PER IL 99%
Dobbiamo creare insieme un nuovo senso comune e rovesciare completamente la prospettiva, dando vita a un’economia umana il cui principale obiettivo sia quello di favorire l’interesse del 99% e non quello dell’1%. La fascia sociale che dovrebbe trarre enorme vantaggio dalle nostre economie è quella dei poveri, a prescindere dal fatto che si trovino in Uganda o negli Stati Uniti. L’umanità possiede un incredibile talento, enormi ricchezze e un’immaginazione sconfinata: dobbiamo combinare questi tre fattori per creare un’economia più umana che vada a vantaggio di tutti, non soltanto dei pochi privilegiati.
Un’economia umana garantirebbe società migliori e più eque, assicurerebbe posti di lavoro sicuri con retribuzioni dignitose, tratterebbe uomini e donne con pari dignità; nessuno dovrebbe più preoccuparsi per il costo delle cure mediche, tutti i bambini avrebbero la possibilità di realizzare il proprio potenziale. La nostra economia prospererebbe entro i limiti posti dal Pianeta e lascerebbe ad ogni nuova generazione un mondo migliore e più sostenibile.
I mercati sono il motore vitale della crescita e della prosperità, ma non possiamo continuare a far finta che sia il motore a guidare la macchina o a decidere qual è la direzione migliore da prendere. I mercati devono essere gestiti in modo oculato e nell’interesse di tutti affinché i proventi della crescita siano equamente distribuiti, il cambiamento climatico sia affrontato in maniera adeguata e sanità ed educazione siano una prerogativa di molti, specialmente (ma non solo) nei Paesi più poveri.
Un’economia umana avrebbe tutta una serie di componenti essenziali atti a contrastare i problemi che hanno determinato l’attuale crisi della disuguaglianza. Il presente rapporto si limita a tratteggiarne alcuni, offrendo in tal modo una base da cui partire.
In un’economia umana:
Possiamo e dobbiamo costruire un’economia più umana prima che sia troppo tardi.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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