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Mutilazione genitale femminile: reagire si può, così dimostra l’Uncut girls club in Etiopia

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Per contrastare l’utilizzo di pratiche barbare come ad esempio la mutilazione genitale femminile, molto diffusa nei Paesi africani e non solo, è fondamentale una correlazione di elementi che vanno dall’istruzione alla consapevolezza, passando per la libertà di scelta e la presenza sul territorio di organizzazioni e associazioni umanitarie in grado di favorire l’emancipazione femminile.

In Etiopia abbiamo visto recentemente nascere una realtà molto interessante, l’Uncut girls club (il Club delle ragazze non mutilate) che conta al suo interno 50 membri che puntualmente si riuniscono in una scuola nel distretto di Bonazura allo scopo di diffondere quanto più possibile la necessità di contrastare il fenomeno legato alle mutilazioni genitali femminili. Dietro il coraggio di queste ragazze c’è un’ong, la Plan international che, con il suo progetto Because I am a girl (Perché sono una ragazza), ha avviato proprio in Etiopia un’azione mirata a ostacolare il flagello delle mutilazioni genitali. Parliamo di un’organizzazione che è attiva dal 1937 e lavora attualmente in questa direzione in Africa, in Asia e in America Latina con l’obiettivo di impedire non solo certe pratiche abbiette ma anche provare a contrastare i matrimoni prematuri.

Le mutilazioni genitali femminili effettuate sono ogni anno 140 milioni e riguardano ben 29 Paesi del Continente Nero. Tali interventi sono diversi da Paese a Paese: alcuni prevedono l’asportazione della parte finale della clitoride, altre la chiusura della vulva mediante la cucitura delle due grandi labbra, altre ancora sono infibulazioni. Tutte, in ogni caso, sono violazioni dei diritti umani in quanto pure forme di violenza e sopraffazione di genere. Bisogna inoltre tenere ben presente come queste pratiche rappresentino dei rischi concreti per la salute, il primo fra tutti è quello causato da infezioni oppure dalle complicanze durante il parto. Raramente, infatti, le operazioni vengono effettuate in una struttura sanitaria dotata dei crismi necessari per effettuare l’intervento, mentre più frequentemente se ne occupano le donne stesse di questo o quel villaggio in un contesto di igiene scarsa o completamente assente. Quindi capita sovente che le bambine, o le ragazze, muoiano.

Se in alcuni luoghi, come ad esempio in Egitto e proprio in Etiopia, la mutilazione genitale femminile è vietata per legge, questo non significa che la popolazione locale rispetti il divieto. Diversamente, non sarebbero certo l’81% le donne sottoposte alla barbarie. È molto chiaro che la conquista effettiva del diritto di disporre del proprio corpo debba partire dalla ragazze stesse, per questa ragione i progetti delle associazioni e organizzazioni umanitarie mirano a creare consapevolezza, a generare istruzione intorno al tema, nella convinzione che nessuna barbarie possa essere sradicata senza che alla base ci sia una strategia di educazione e informazione.

L’Uncut girls Club è proprio figlia di questa convinzione, sicché ora ci sono 50 ragazze consapevoli in più in Etiopia che, consce del loro ruolo di vittime, provano ora a sottrarre le coetanee a una sorte decisa da altri o dalle convenzioni sociali. Non è semplice tuttavia, dal momento che occorre lottare contro retaggi culturali molto radicati e tanti miti da sfatare. Spesso sono state le ragazze stesse a richiedere la mutilazione perché, come spiegano gli stessi membri del gruppo, altrimenti «sarebbero state vittime di bullismo e nessuno avrebbe voluto sposarle». In altri casi sono le madri e i padri a condurre le figlie all’intervento perché interpretano la mutilazione come una normale prassi in una determinata fase della vita della donna.

Ma, come hanno spiegato le donne del Club, qualcosa comincia a cambiare anche all’interno delle famiglie, grazie all’impegno quotidiano delle ragazze stesse che informano, rispondono a domande, parlano dei pericoli e interagiscono nelle scuole, portando in classe questo tipo di argomento contro ogni tabù. Così si dialoga anche con i maschi perché è del resto inconcepibile percorrere la via dell’emancipazione escludendo chiunque, men che meno i futuri compagni di queste ragazze. Se in conclusione è vero che la mutilazione genitale femminile rappresenta ancora un triste flagello in molte aree del mondo, lo è altrettanto che esempi di questo genere, nati dall’interazione di organizzazioni umanitarie e persone, sono ripetibili ovunque e, per questa ragione, in grado di generare un cambiamento positivo.

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