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di Francesco Lo Piccolo.
Non sono bastate le barricate e la cacciata di quelle 12 povere donne straniere in fuga da fame e guerre e accusate di voler invadere l’Italia. A Goro e a Gorino, i due paesini del ferrarese che nel 58 finirono sui giornali per l’alluvione, e che fino a qualche giorno fa potevano richiamare alla mente Milva, le vongole, la nebbia e il Po, adesso sono apparsi anche i cartelli contro i musulmani (addirittura attaccati davanti e dentro la chiesa di Gorino) e gli striscioni anti immigrati di Casa Pound.
Ma non mi sembra il caso di restare troppo stupiti. Fattacci così sono in realtà in perfetta e coerente continuità con tantissimi altri episodi di intolleranza dove l’altro è visto sempre più spesso come il nemico.
Basta pensare all’episodio avvenuto a Capalbio questa estate dove lo stesso sindaco del Pd Luigi Bellumori aveva visto nell’arrivo dei profughi “una catastrofe lesiva dell’appeal di Capalbio”. O al caso di Aulla, in provincia di Massa, dove una trentina di famiglie si erano rivolte a un avvocato per opporsi alla decisione di mettere gli extracomunitari in una palazzina vicino alle loro abitazioni. E cose simili (pur senza arrivare alle barricate) non accaddero anche a Pietrasanta sempre in Toscana, a Cavallasca o ad Atessa nel Chietino?
La verità è che da anni stiamo allevando rancore verso gli stranieri, ostilità, xenofobia. Segnalo qui qualche esempio per rinfrescarci la memoria: ad esempio le parole di Giancarlo Gentilini, sindaco di Treviso, il primo cittadino più amato dalla base leghista. Era marzo 2000, gridò testuale: “Voglio i vagoni piombati per spedire a casa gli immigrati entrati clandestini in Italia”. O ancora l’intervento di Roberto Maroni (che fu ministro dal 2008 al 2011) che nel 2008 su La Padania disse: “Extracomunitari, basta guanto di velluto”. “Scimmia” fu poi l’insulto pronunciato nel settembre del 2009 da un agente della polizia municipale di Parma a Emmanuel Bonsu, ghanese arrestato e picchiato. E come non ricordare il giovane straniero arrestato a Monza e ammanettato a una colonna perché in commissariato non c’erano celle di sicurezza. O l’episodio dei vigili di Termoli che cercavano di ficcare dentro il bagagliaio della loro auto un ambulante straniero che si rifiutava di consegnare la sua merce ed ancora sempre a Parma la foto con la donna nigeriana abbandonata seminuda per terra in una cella al comando dei vigili.
Davvero pensiamo che tutto ciò sia acqua fresca? Davvero riteniamo che programmi televisivi tipo “Dalla vostra parte” dove si dà spazio alla pancia e non alla ragione non abbiano responsabilità alcuna e che non avvelenino il clima?
Nel 1986 – un anno prima di morire – Primo Levi scriveva così nel suo “I sommersi e i salvati”: “Può accadere, e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, utile o inutile, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato… Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori…”.
Amaro e illuminante. Fa capire che stiamo andando a un punto di non ritorno, verso quel punto nero della storia dove l’altro diventa il nemico da eliminare. Quel punto nero che era fatto di marchiature sulle braccia e nudità dei prigionieri… dove c’erano uomini aguzzini che vedevano altri uomini come cose. Uomini-cose che possono essere cacciati, esclusi, rimpatriati, segregati in gabbie, controllati, schedati. Nell’indifferenza di questo nostro oggi. La stessa indifferenza che ha portato a non vedere i lager nazisti mentre molti sapevano: basta pensare alle industrie alle quali vennero commissionate le costruzioni dei forni crematori o alle aumentate richieste di veleno per le camere a gas.
La stessa indifferenza, per paura e interessi, che sta trasformando – ha trasformato – i giornalisti (non tutti) in pennivendoli da Istituto Luce del tempo del fascismo, in giornalisti senza etica che hanno banalizzato le notizie e creato delle verità solo per far piacere agli indici di gradimento. O per quattro soldi. Per manipolare l’opinione pubblica, per appiattirla, per omologarla e per istupidirla… come nei regimi totalitari, come accadde ai tedeschi vittime del loro Fuhrer e che seguirono fino alla soluzione finale per pigrizia, stupidità, piccolo calcolo. Come accade oggi dove ogni giorno, paletto dopo paletto, la ragione è costretta a fare un passo indietro. E a lasciare il posto alla pancia, alle bugie di comodo, alle propagande sugli stranieri che portano malattie, che ci portano via il lavoro, che vengono pagati, che a loro vengono dati gli alberghi a quattro stelle, e via dicendo. Alle guerre tra poveri in definitiva. Noi contro loro, contro i nemici che vengono da fuori così da non vedere i veri problemi che sono all’interno del nostro paese: i tagli alla sanità, l’inquinamento del nostro mare, le spese per la guerra, gli F35, i grandi progetti come Tav e ponte sullo stretto. Dividi ed impera e sposta i problemi al di fuori. Fu fatto al tempo di Crispi e subito dopo durante il fascismo con le campagne d’Africa.
In “La quinta donna” di Henning Mankell, Kurt Wallander, commissario della polizia di Ystad, dice così: “[…] Ieri sera un certo numero di persone che abitano da queste parti hanno pestato a sangue un uomo che non aveva fatto nulla. L’uomo aveva sbagliato strada ed è sceso dall’auto solo per chiedere informazioni.. Lo hanno accusato di essere un ladro. E lo hanno quasi ammazzato di botte…[…] La domanda che dobbiamo porci è se vogliamo tutto questo… Se vogliamo che sbagliare strada, prendere a destra o a sinistra possa mettere in pericolo la vita di un normale cittadino… E’ questo che vogliamo? Guardarci con sospetto l’uno con l’altro? Vedere il nostro prossimo come un ladro, un possibile violentatore?… “.
Dopo Goro e Gorino siamo davvero sulla buona strada. Verso il capolinea della ragione.
Sono giornalista dal 1980. La mia attività professionale è cominciata a metà degli anni Settanta collaborando col settimanale Nord Est a Venezia. Dopo un breve periodo al Diario di Palermo, sono stato assunto a il Mattino di Padova. Dal 1986 fino al 2011 ho lavorato a Il Messaggero nelle redazioni di Roma, Milano e Chieti. Ho visitato paesi, vissuto e raccontato la tragedia della fame in Etiopia a metà anni Ottanta, il fermento che animava Berlino Est pochi giorni prima della caduta del Muro, le rivolte in Albania al tempo di Enver Hoxha, le prime riforme a Mosca con l’elezione di Gorbaciov.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato buoni maestri. Da loro, oltre che da mio padre, che era maestro di scuola, ho appreso che chi scrive, chi è giornalista, ricerca la verità e non manipola i fatti ad uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Attualmente ho un blog sul sito Huffingtonpost Italia dove scrivo di informazione, giustizia, diritti, carcere. Dal 2008 dirigo Voci di dentro, rivista scritta dai detenuti di alcune carceri abruzzesi. Entrato nel mondo del carcere come volontario, ho fondato con altri l’associazione Onlus Voci di dentro (della quale sono presidente) che si occupa del reinserimento degli ex detenuti. Fortemente convinto che non ci sono muri da innalzare ma porte da aprire e che occorre dare opportunità di vita e di conoscenze a persone che, non per colpa loro, queste opportunità non hanno avuto, tengo dei laboratori di scrittura e sulla legalità nelle carceri di Chieti e Pescara. Ho fondato e sono presidente di Alfachi cooperativa sociale di tipo B con l’intento di creare occasioni di lavoro per detenuti ed ex detenuti.
Amo leggere, scrivere, conoscere, studiare (due anni fa mi sono riscritto all’università, corso di laurea in sociologia e criminologia). Soprattutto amo la mia famiglia, mia moglie, e i miei due figli.
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