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di Francesco Lo Piccolo.
“Non c’è più posto”, “siamo al completo, è emergenza”, “no, non è emergenza”. E poi ancora: “gli occhi di Favour … tutti gli italiani vogliono adottare la piccola Favour”, “parte la mobilitazione per la bimba di nove mesi arrivata a Lampedusa dopo la morte della madre – incinta di un altro bambino – avvenuta durante la traversata nel Canale di Sicilia”.
Titoloni, allarmi e smentite…commozione e buonismo. Ecco come siamo: tutto e il contrario di tutto. Lacrime facili, lacrime di coccodrillo. Ricordiamo tutti il piccolo Aylan, la faccia in giù, le braccia abbandonate, immobile nella morte, era un profugo, aveva 3 anni, lì davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, quella maglietta rossa e quei pantaloncini scuri, le scarpe allacciate. Quanto tempo è passato? Quanti altri Aylan prima e dopo? Quante altre volte ci siamo commossi? E quante volte poi ce ne siamo dimenticati? Presi da tutt’altre faccende: dalle polemiche tra i partiti, dagli scandali o dalle nuove retate di corrotti, dalle liti ora su questo e ora su quello, dai partigiani veri o dai partigiani falsi. Pretesti in realtà, perché tutto continui come prima, mentre io, tu, tutti, continuiamo a girarci dall’altra parte. E qualcuno pensa di tirare su qualche muro, come se la sicurezza fosse solo un confine da difendere armi in pugno.
Intanto la tragedia, quella vera, non si ferma e i numeri sono un impietoso atto di accusa: dall’88 fino al febbraio 2016 lungo le frontiere dell’Europa sono morte 27.382 persone. Gabriele Del Grande tiene il conto di questa carneficina nel suo Fortress Europe. Lo fa da anni, aggiorna di mese in mese, e ogni volta nuove tragedie, barche e gommoni che affondano: 4.273 morti nel 2015 e 3.507 nel 2014. Ma sono dati per difetto: in un mare che è il Mediterraneo, che è solcato da miriadi di imbarcazioni, che è controllato da radar e velivoli e infine osservato dall’alto dei satelliti…che una nave di disperati sta affondando si scopre sempre troppo tardi.
“In cammino” è un saggio edito da Il Mulino scritto da Massimo Livi Bacci, docente di demografia a Firenze. In una pagina di questo bellissimo lavoro si legge così: “Nelle navi negriere che trasportavano oltre 10 milioni di schiavi dalle coste africane a quelle dell’America perdevano la vita tra il 10 e il 20 per cento dei disgraziati passeggeri. Nella seconda metà del Settecento le navi in partenza dal Senegal e dall’Angola e dirette nei Caraibi persero “solo” il 2 per cento del loro carico umano”. “Il 2 per cento – aggiunge ancora Livi Bacci – è peraltro il tasso di mortalità dei disgraziati migranti che hanno tentato la traversata del Canale di Sicilia e dello Stretto di Gibilterra per approdare in Europa fra il 2002 e il 2008”.
Nel ventunesimo secolo come nel Settecento! Altro che tecnologie e satelliti. Altro che informazione 24 ore su 24. Uniti da scambi e globalizzati. O quanto è bello. In realtà spettatori più o meno distratti di tante nuove e continue pubbliche esecuzioni. Cito Noam Chomsky nel suo “Requiem for the American Dream”: “Disinformati da un’informazione che da cane da guardia del potere si è trasformata in cane da guardia al servizio del potere”.
Sono giornalista dal 1980. La mia attività professionale è cominciata a metà degli anni Settanta collaborando col settimanale Nord Est a Venezia. Dopo un breve periodo al Diario di Palermo, sono stato assunto a il Mattino di Padova. Dal 1986 fino al 2011 ho lavorato a Il Messaggero nelle redazioni di Roma, Milano e Chieti. Ho visitato paesi, vissuto e raccontato la tragedia della fame in Etiopia a metà anni Ottanta, il fermento che animava Berlino Est pochi giorni prima della caduta del Muro, le rivolte in Albania al tempo di Enver Hoxha, le prime riforme a Mosca con l’elezione di Gorbaciov.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato buoni maestri. Da loro, oltre che da mio padre, che era maestro di scuola, ho appreso che chi scrive, chi è giornalista, ricerca la verità e non manipola i fatti ad uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Attualmente ho un blog sul sito Huffingtonpost Italia dove scrivo di informazione, giustizia, diritti, carcere. Dal 2008 dirigo Voci di dentro, rivista scritta dai detenuti di alcune carceri abruzzesi. Entrato nel mondo del carcere come volontario, ho fondato con altri l’associazione Onlus Voci di dentro (della quale sono presidente) che si occupa del reinserimento degli ex detenuti. Fortemente convinto che non ci sono muri da innalzare ma porte da aprire e che occorre dare opportunità di vita e di conoscenze a persone che, non per colpa loro, queste opportunità non hanno avuto, tengo dei laboratori di scrittura e sulla legalità nelle carceri di Chieti e Pescara. Ho fondato e sono presidente di Alfachi cooperativa sociale di tipo B con l’intento di creare occasioni di lavoro per detenuti ed ex detenuti.
Amo leggere, scrivere, conoscere, studiare (due anni fa mi sono riscritto all’università, corso di laurea in sociologia e criminologia). Soprattutto amo la mia famiglia, mia moglie, e i miei due figli.
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