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Oggi è il 20 marzo, Giornata internazionale della felicità, l’occasione giusta per riflettere sul significato di una parola tanto importante quanto abusata. Il suo uso comune rinvia allo stato d’animo, al sentimento di chi è felice, di chi si sente appagato nei propri desideri, privo di dolori o preoccupazioni, sereno nello spirito.
L’uomo aspira alla felicità, la ricerca e il più delle volte la immagina come una condizione individuale. Non importa se prevalga l’accezione negativa o positiva del termine, se si ponga l’accento sull’affrancamento dalla condizione di sofferenza e privazione o sulla soddisfazione delle proprie aspettative. Il singolo persegue la felicità, il singolo talora riesce a raggiungerla e, quindi, ne gode. E così, nella società dei consumi, diventa inevitabile accostare la felicità al successo, alla soddisfazione di ogni desiderio, alla più ampia disponibilità di risorse. In qualche altro caso la felicità viene interpretata in chiave psicologica, come uno stato d’animo, una condizione emotiva in grado di prescindere anche dal possesso dei beni materiali. E pur sempre una condizione individuale.
Eppure queste interpretazioni forse tradiscono il senso autentico della parola. I linguisti ci spiegano che il termine latino “felix” indica chi è fortunato, ricco, gradito, chi porta fortuna, addirittura chi può assumere un valore sacro. Ma “felix” ha anche la stessa radice di “fecundus”, cioè fertile, prolifico, produttivo, ricco, pieno, che feconda.
Riflettiamo un attimo. Essere felice vuol dire essere fertile, prolifico, produttivo e per questo chi lo è diventa ricco, porta fortuna, addirittura apre un varco verso il sacro. Chi è felice porta con sé abbondanza, ricchezza, prosperità.
L’etimologia ci restituisce una valenza inedita del termine felicità. Non c’è alcuna accezione psicologica ma, al contrario, una dichiarata concretezza. È felice chi è fertile, chi è prolifico, chi produce. La fertilità ha bisogno della fecondazione, il campo fertile aspetta il seme. Prolificare per le persone e gli animali vuol dire generare prole, per le piante dar luogo a gemme. Anche produrre significa far nascere, generare, dare frutto. Ebbene, nessuna mai potrà fare queste cose da solo. Quindi, la relazione, l’incontro, la comunità rappresentano la condizione costitutiva della felicità.
Ecco, ci piace pensare in questi termini alla giornata internazionale della felicità, in questa dimensione concreta, positiva, collettiva. Anche per questo, nel nostro piccolo, vogliamo continuare a parlare di felicità pubblica.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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