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Viaggio nell’Italia della solidarietà e dell’innovazione

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A fine gennaio è stato presentato al pubblico l’ultimo lavoro dell’Auser, “Il saper fare. Viaggio nell’Italia della solidarietà”, una preziosa raccolta di buone pratiche maturate nelle realtà regionali dell’organizzazione che ama definirsi “Associazione per l’invecchiamento attivo”. Ma, come ormai sappiamo, la “grande età” ci riserva mille sorprese, dimostrando una spiccata capacità di leggere i nuovi bisogni della società e trovare risposte originali.

Auser è un’associazione di volontariato e di promozione sociale che – come si legge nella presentazione – si rivolge “in maniera prioritaria agli anziani, ma è aperta alle relazioni di dialogo tra generazioni, nazionalità, culture diverse. Un’associazione per la quale la persona è protagonista e risorsa per sé e per gli altri in tutte le età”.

L’Associazione promossa nel lontano 1989 dalla CGIL e dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil presenta oggi numeri di tutto rispetto: oltre 300.000 soci e 45.000 volontari che operano in 1.500 sedi sparse in tutto il Paese.

Ma, forse, la migliore presentazione dello “spirito Auser” possiamo ancora rintracciarla nelle parole di Bruno Trentin: “il sindacato, che è abituato con gli strumenti della contrattazione, dell’iniziativa legislativa, a conquistare nuovi diritti sociali per tutti i lavoratori che rappresenta, ha bisogno (…) di avere anche dei momenti di sperimentazione concreta di un’attività associata che realizzi, non solo rivendichi, una solidarietà fra diversi, che pratichi una solidarietà intorno all’esercizio dei diritti fondamentali”.

Il volume Il saper fare. Viaggio nell’Italia della solidarietà” costituisce un’ottima testimonianza della sperimentazione concreta di cui parla Trentin, in grado di andare oltre ogni visione rivendicativa. Esperienze, quindi, di innovazione sociale, tanto più autentica perché in grado di mobilitare la stessa comunità che manifesta un bisogno alla ricerca della sua soluzione, costruendo reti e alleanze inedite, parlando un linguaggio che lega le generazioni, acquisendo sempre le necessarie competenze.

D’altra parte la consultazione del volume dell’Auser assume proprio le caratteristiche di un viaggio attraverso l’Italia, alla scoperta di bisogni talora solo nascosti talora volutamente negati, alla ricerca di soluzioni originali, in compagnia di persone e organizzazioni che costruiscono le proprie comunità attraverso progetti concreti, attraverso – dunque – il saper fare.

Prima di inoltrarsi nella lettura delle schede che illustrano “quaranta buone pratiche, ovvero progetti di welfare di comunità e di aiuto alla persona dislocati in diversi contesti geografici e urbani” proponiamo la lettura dell’introduzione al volume di Marica Guiducci della Presidenza nazionale Auser: un utile contributo per acquisire a un tempo chiavi di lettura e visione d’insieme.

Nell’ultimo quarto di secolo si è andata affermando un’idea e una pratica della cittadinanza attiva che si acquisisce nel fare e attraverso la diffusione di iniziative civiche ad opera di volontari e piccole e grandi associazioni. Le buone pratiche dell’Auser ci parlano di questo: del sostegno alle persone di tutte le età e del loro desiderio di partecipare alla vita e al miglioramento della comunità in una prospettiva di eguaglianza e giustizia sociale. Fin dal momento della sua costituzione, nel 1989, l’intuizione associativa dell’Auser è stata che la solidarietà esiste; le persone se ne hanno l’occasione sono propense a creare legami solidali. In controtendenza con una società disgregante e diseguale, la storia del volontariato dimostra come sia nella natura dell’essere umano rivolgere lo sguardo verso l’altro, entrare in rapporto empatico per aprirsi ad un sistema di relazioni più largo.

L’Auser nasce come un’Associazione di autogestione di servizi con la finalità di offrire soluzioni concrete e immediate ai bisogni degli anziani. Da allora, diverse generazioni hanno trovato come volontari l’opportunità di esprimersi, incontrarsi e vivere in modo significativo la propria esistenza, riscoprendo e rinnovando il senso del proprio stare nel mondo, l’importanza di condividere relazioni e di impegnarsi in un progetto sociale. Per un’associazione del fare è vitale avere una visione di società nella quale la denuncia delle diseguaglianze si intreccia alla forza di promuovere buone pratiche di cittadinanza attiva finalizzate alla coesione sociale e alla trasformazione della realtà presente.

È un percorso dal dentro al fuori, dal particolare all’universale, nel quale l’azione volontaria, il saper fare, non perdono di vista che dietro il bisogno percepito nell’altro c’è spesso la sostanza di un diritto negato. Per questa ragione nel 2013, con la pubblicazione del nostro Progetto Sociale abbiamo indicato le aree di intervento e le nostre finalità progettuali. Due anni dopo, nel 2015, l’Auser ha prodotto il primo Bilancio sociale, la necessaria evoluzione di anni di esperienza nella rendicontazione sociale. Abbiamo intitolato quella indagine sulla nostra realtà associativa “Conoscerci per farci conoscere”. Ora con questo rapporto compiamo un passo in avanti in termini conoscenza e comunicazione del nostro operare. Proponiamo la sintesi analitica di quaranta buone pratiche, ovvero progetti di welfare di comunità e di aiuto alla persona dislocati in diversi contesti geografici e urbani: centri storici di grandi città dal nord al sud d’Italia, periferie disagiate, piccoli paesi, località montane, province agricole e industriali. In ciascuno di tali luoghi, attorno a una sede dell’Auser, si è sviluppato un esempio originale e innovativo di intervento locale. Chi meglio dei protagonisti di tali interventi avrebbe potuto illustrare il senso e la qualità del fare dell’Auser? Per questa ragione abbiamo scelto un metodo di lavoro partecipato. Alla selezione, e in seguito alla narrazione, hanno contribuito i segretari regionali dell’Auser e i responsabili dei progetti. A loro va un ringraziamento fraterno, da parte di tutta l’Associazione, per l’impegno che hanno messo nella scrittura delle schede e nella partecipazione al lavoro di elaborazione.

Ciascuna scheda è il frutto di molteplici interviste che si sono rivelate necessarie a mettere a fuoco un insieme di elementi: i destinatari, i princìpi, gli obiettivi, gli elementi innovativi, come il progetto ha cambiato il modo di operare dell’Auser, i risultati, i fattori di trasferibilità. L’obiettivo non semplice: portare alla superficie, attraverso un lavoro di esplorazione e di acquisizione di consapevolezza, le fasi e le dinamiche di funzionamento dei progetti “esemplari” di un’associazione nazionale, fondata su una fitta rete di rapporti territoriali con altre associazioni, con i servizi sociali, con istituti scolastici, fondazioni, aziende, liberi cittadini.

L’interazione tra una persona a rischio di esclusione (o un gruppo) e l’insieme della comunità; andare oltre le mura dei circoli Auser e delle necessità proprie del singolo è uno dei fili conduttori di questo viaggio attraverso le buone pratiche nell’Italia della solidarietà. Emerge chiaramente come l’efficacia di un progetto di inclusione di soggetti vulnerabili debba essere misurato (anche) sulla sua attitudine a generare un effetto positivo sull’insieme della comunità. Nelle buone pratiche relative ai condomini solidali, alle feste di quartiere, in “Agenzie di Cittadinanza” a Napoli, o in “Fatti mandare dalla mamma”, a Genova, si fa leva sul coinvolgimento e sulla attenzione vigile di interi rioni e quartieri.

Tra i tratti distintivi delle buone pratiche pubblicate in questo rapporto, si osserva la tendenza a far avanzare la progettazione verso ambiti di attività di recente acquisizione per l’Auser, che rappresentano la frontiera attuale della sofferenza sociale. Soltanto per fare alcuni esempi: la condizione dei migranti e dei richiedenti asilo politico (ambulatori sanitari, corsi per insegnamento della lingua italiana validi per conseguire il permesso UE, coinvolgimento nelle attività di volontariato dell’Auser), il problema della diffusione della povertà (Banco alimentare e distribuzione di alimenti a domicilio). Si consolida l’interesse culturale verso sostenibilità ambientale e sociale con un più efficace ed economico utilizzo delle risorse e dei beni comuni (riparazione e riuso di ausili medici, coltivazione di orti sociali e didattici).

La riflessione sull’invecchiamento attivo e la ricerca di soluzioni abitative innovative per far fronte al desiderio di autonomia delle persone anziane ha prodotto un modello di accompagnamento alla coabitazione, tra quest’ultime e soggetti vulnerabili, all’avanguardia nel nostro paese. Tutto ciò documenta – mediante il saper fare – come l’essenza del volontariato autentico sia l’ascolto delle emergenti questioni sociali soprattutto quelle che non sono presenti nella coscienza pubblica, nella normativa, nella destinazione delle risorse e nella erogazione dei servizi sociali.

La complessità del progetto è un aspetto ricorrente. Le buone pratiche non di rado sono rivolte all’intero nucleo famigliare o a più di una persona: giovani-anziani, studenti-insegnanti-genitori. Oppure sono state ideate, o nel tempo si sono spontaneamente strutturate, per far fronte alle molteplici necessità di una medesima persona. Ad esempio, quando si progettano i corsi di insegnamento della lingua italiana per le donne di recente immigrazione, i volontari valutano anche il loro bisogno di madri e organizzano l’asilo nido per accogliere i loro bambini durante le ore di insegnamento.

Si avverte l’urgenza di elevare le competenze professionali dei volontari alla delicatezza e alla problematicità delle richieste sociali. La mancanza di qualifiche formali può diventare un limite e rendere impossibile l’implementazione di una buona idea. E allora osserviamo come numerosi progetti siano stati concepiti, e siano quotidianamente gestiti, grazie all’affiancamento di volontari dell’Auser in possesso di professionalità certificate: medici, infermieri, assistenti sociali, docenti, psicologi e psicoterapeuti. Nella competenza professionale e nella cultura dell’ascolto affondano le radici esperienze storiche dell’Auser come quelle degli sportelli rivolti alle donne a rischio di violenza domestica (Padova e Frosinone).

Un altro aspetto si afferma con forza: la costruzione di relazioni continuative con le istituzioni e gli enti locali. È provato che per agire con efficacia un progetto sociale deve saper mobilitare le risorse pubbliche e private disponibili nel territorio in termini economici ma anche di competenza e funzione. Da qui l’importanza della collaborazione (non ancora progettazione partecipata) con i servizi sociali, con le amministrazioni scolastiche, con le aziende sanitarie locali, le prefetture e le forze dell’ordine, le associazioni di portatori di interesse: migranti, disabili. I termini di questa crescente sinergia a livello locale si consolidano nella stesura di accordi, protocolli e convenzioni. Talvolta l’innovazione si riversa negli strumenti giuridici, come nel caso di Abitare Solidale, dove è stato inventato un nuovo strumento, con validità legale, per regolamentare i reciproci obblighi tra i coabitanti il “comodato d’uso gratuito d’immobile”.

I destinatari del progetto sono spesso coinvolti nella ricerca della soluzione al proprio problema, svolgendo un ruolo attivo e conoscendo gli obiettivi del programma di cui sono protagonisti. È questo il caso di alcune buone pratiche dedicate alla ritessitura dei fili della memoria; o anche del “Teatro con l’Altro”, uno straordinario esempio di azione di rafforzamento dell’identità, nel quale i genitori e i figli con disabilità hanno dato vita a una compagnia teatrale, e insieme ai volontari Auser allestiscono e mettono in scena spettacoli nelle scuole e nei teatri. Non meno interessante, è l’affacciarsi in alcune delle attività più tradizionali e più note dell’Auser (il Filo d’Argento e l’accompagnamento protetto) della sperimentazione delle nuove tecnologie informatiche e della geolocalizzazione.

La riflessione conclusiva di questo viaggio nel saper fare è che l’Auser è tuttora in evoluzione, spinta in questa trasformazione dalla propensione ad essere “con i piedi piantati nella terra” e ad adattare le attività ai bisogni autentici delle persone. La disomogeneità e frammentazione delle esperienze sul territorio nazionale è ancora molta. Sebbene Auser sia una delle più numerose e capillari associazioni in Italia, il nostro assetto organizzativo è ancora, per fortuna, in movimento. Ciò fa di noi un’associazione giovane e dinamica, che in futuro, dovrà imparare a percepire e a coordinare se stessa come un vasto sistema nazionale. Ben 1500 sedi e 46 mila volontari sono un patrimonio da cui ciascuno può ricevere e rimettere in circolo ispirazione, confronto, modelli di gestione e di coordinamento. In alcune realtà, del nord, del centro e del sud del paese l’impegno dei volontari ha consolidato buone pratiche che possono essere un prototipo di intervento sociale, non solo al nostro interno, ma anche per rinnovare la qualità e l’offerta dei servizi sociali.

Abbiamo “modellizzato” quaranta buone pratiche perché possano diventare un repertorio il cui filo rosso è l’invecchiamento attivo. La nostra è una società longeva, nel 2050, una persona su tre avrà oltre 64 anni. È una generazione di “nuovi anziani” che desidera autonomia e una vita attiva per la quale occorrono politiche abitative, opportunità di apprendimento e servizi di assistenza domiciliare innovativi. L’Auser da sempre si colloca in questa prospettiva: creare le condizioni culturali, sociali (e legislative) affinché le persone della terza e quarta età possano continuare a progettare, partecipare, disporre di un tessuto vivo di relazioni e una qualità alta della vita. Il volontariato può far molto offrendo sostegno e anche rinnovando attraverso la cittadinanza attiva il senso dello stare nel mondo delle persone di tutte le età.

Tuttavia siamo consapevoli che per continuare ad operare per il benessere delle persone e della società va alimentata un’etica della formazione continua, che permetta ai nostri volontari di crescere come persone, motivandoli, e al contempo fornendogli gli strumenti necessari per comprendere la realtà, rimettere in discussione procedure consolidate e avviare processi di cambiamento. Ciò perché il volontariato può e deve essere un pungolo per la politica, la dimostrazione mediante il suo stile di vita e il saper fare che un’altra via allo sviluppo è possibile se la visione condivisa di società è fondata sugli inalienabili diritti costituzionali.

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  1. […] per l’invecchiamento attivo) attraverso l’approfondimento di Valerio Roberto Cavallucci (leggi l’approfondimento) che ci illustrava l’ultimo lavoro dell’associazione: “Il saper fare. Viaggio nell’Italia […]

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