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Elena Tioli: “da gennaio 2015 non entro in un supermercato”

Ha 33 anni, è nata a Mirandola (Mo), cresciuta a Sermide, un piccolo paesino della bassa mantovana e dal 2007 vive a Roma. Laureata in Scienze della comunicazione, si occupa di ufficio stampa e comunicazione politica su tematiche ambientali, di alimentazione e salute e lavora come collaboratrice parlamentare alla Camera dei Deputati. Cura un blog dal titolo www.vivicomemangi.it, [1] collabora con il sito il Cambiamento.it e dal 2012 convive con il suo compagno Gianmaria.

E’ questo l’identikit di Elena Tioli, appassionata di alimentazione, autoproduzione e sostenibilità, e profondamente convinta “che ci sia un altro modo: un altro modo di vivere, di pensare e di parlare e che spesso, questo modo, sia legato a doppio filo al modo di mangiare. Anche per questo, da gennaio 2015 non entro in un supermercato (e farò in modo di non entrarci più)”.

Esattamente un anno fa hai preso una decisione drastica. Vuoi raccontarci qual è stata?

Hai presente i buoni propositi di inizio anno? Il mio è stato non entrare più in un supermercato. Lì per lì non avevo pensato ai risvolti pratici di una simile idea, soprattutto in una città come Roma.

Come è nata questa idea?

Era il 2 gennaio 2015. Ero a Palma di Maiorca, in un supermercato e camminavo per le corsie. A un certo punto mi è caduto l’occhio dentro uno di quei grandi contenitori frigo per la carne: c’erano dei maialini interi, piccoli, perfettamente integri, con gli occhi chiusi, sottovuoto. Non mi era mai capitato in Italia di vedere niente del genere: sembrava dormissero. Lì per lì ho pensato all’assurdità di quella situazione. Ho pensato che se erano lì, se tutte le cose che mi contornavano erano su quegli scaffali, era perché qualcuno le avrebbe acquistate. La maggior parte erano cose inutili e dannose, per gli uomini e per l’ambiente. La mia mente ha iniziato a mugugnare: quanto le nostre piccoli “innocenti” scelte influiscono sull’intero sistema? Com’è possibile che si spendano così tanti soldi e così tanto tempo per fare del danno a noi stessi e al nostro pianeta? E’ possibile farne di meno? E così mi sono detta: proviamoci!

Quanto ha influito la tua collaborazione con il portale Il cambiamento [2] in questo percorso?

Tantissimo. Raccontare storie di persone che quotidianamente scelgono di vivere fuori dagli schemi, lontano dal modo di vedere condiviso e accettato da tutti è stato illuminante. Tante volte ci si appiattisce su dei luoghi comuni e si accettano situazioni di sopravvivenza piuttosto che provare a dare un occhio oltre il recinto. Troppe volte si tende a confondere la normalità con la consuetudine o, peggio ancora, con l’abitudine: “è sempre stato così”, “così fan tutti”, “è normale così”… ma ne siamo sicuri? Ecco, queste storie mi hanno permesso di dare una sbirciatina a cosa c’è oltre il recinto e così facendo mi si è aperto un mondo.

Dove fai la spesa oggi?

Per lo più tramite il Gruppo d’acquisto solidale. Tutte le settimane acquisto a chilometro zero da produttori locali frutta e verdura bio e di stagione (con ancora le lumachine attaccate!). Sempre con il Gas acquisto pasta, cereali, farina, vino, prodotti igienici e per la casa e molto altro ancora, con la consapevolezza di acquistare da produttori che basano il proprio lavoro sulla responsabilità, sulla solidarietà e sulla sostenibilità. Quello che non compro al Gas, in caso di emergenza o necessità, lo compro nei negozi leggeri, dove si acquista sfuso (mi porto i barattoli da casa e li riempio di ciò che mi occorre: pasta, farine, sapone, etc.); oppure tramite il web, per esempio con Kalulu [3] (una start up romana che mette in connessione produttori locali e acquirenti); o ancora nei mercati e nelle piccole botteghe di quartiere, purché rispondano agli standard di sostenibilità, qualità e rispetto per i lavoratori.

Come è cambiata in questi 12 mesi la tua vita?

Decisamente in meglio! Oltre alla soddisfazione di avercela fatta posso affermare che il guadagno è stato tantissimo. In termini economici, relazionali e di tempo. Certo ho dovuto imparare a programmarmi e organizzarmi un po’ di più e all’inizio non è stato semplice ma superato questo scoglio il resto è stato tutto in discesa. Con gli ordini annuali e la possibilità di farmi da sola molte cose non devo entrare quotidianamente nei negozi, non spreco tempo in parcheggi, nelle corsie o in coda alla cassa. Ho meno necessità. Impiego molto meno tempo nella scelta: prima passavo i minuti a scegliere l’odore dell’ammorbidente da comprare o le caratteristiche dello shampoo migliore. (oggi invece i prodotti per l’igiene personale se li confeziona in casa da sola, ndr)

La tua vita è cambiata anche nel rapporto con gli altri?

Questo nuovo stile di vita mi ha permesso di relazionarmi con tantissime persone nuove che mi hanno arricchito enormemente. Il gruppo del Gas, il Movimento per la Decrescita Felice, i piccoli produttori e le realtà di quartiere. Fare la spesa è diventato un momento sociale in cui l’aspetto personale e relazionale è fondamentale. Cosa impensabile in un supermercato!

Com’è cambiata la vita di chi vive con te?

In casa siamo in due e ovviamente la vita di entrambi è un po’ cambiata. Ma di sicuro non in peggio, anzi! La qualità del cibo e dei prodotti che utilizziamo è decisamente migliorata e non si può certo dire che al mio compagno manchino i sabato pomeriggio dedicati al fare la spesa, rintanati nei supermercati ad annaspare tra corsie, offerte, code e parcheggi. Inoltre avendo ridotto gli imballaggi a zero anche l’incombenza spazzatura si è ridotta di tantissimo: ora i cestini sono quasi sempre vuoti e il fatidico momento del “chi va a buttare la plastica” è rimandato di tantissimo. Se infine buttiamo un occhio al portafogli il quadro risulta davvero ottimo. L’unica volta che Gianmaria ha avuto qualcosa da dire è stata sul dentifricio autoprodotto, sembrava pesto alla genovese in effetti… non lo abbiamo mai più usato.

Le persone che ti conoscono come giudicano questa tua scelta?

All’inizio pensavano fosse una pazzia che non avrei mai portato a termine. Poi hanno iniziato a supportarmi e ora sono entusiaste.

Hai notato anche dei benefici dal punto di vista economico?

Tantissime! Prediligendo la filiera corta, l’acquisto in gruppo e i piccoli produttori risparmio decisamente senza rinunciare alla qualità. Inoltre evitando di incappare in tantissime merci ho semplicemente smesso di comprarle: quello che al supermercato mi sembrava essenziale ho notato che per lo più è superfluo. La convenienza della grande distribuzione è un’illusione: ogni volta che entravo anche solo per comprare due cose uscivo con una busta piena e cinquanta euro in meno in tasca. Ora non è più così. Compro il necessario. Ma non si tratta di rinunce. Certi prodotti non mi mancano proprio.

In questo periodo hai cercato di convincere altre persone a fare la tua stessa scelta?

Assolutamente no. Non cerco di convincere nessuno, racconto semplicemente la mia storia come racconto quella di tanti altri a chi la vuole ascoltare o leggere. Sono convinta che lo strumento più convincente alla fine sia sempre l’esempio. E credo profondamente che non ci sia una strada più giusta, ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa per migliorare il nostro pianeta e la propria vita. Il tutto sta nello scegliere cosa fare e iniziare a farlo.

C’è ancora qualcosa che manca per completare il tuo percorso?

Credo che questo percorso non si potrà mai dire completato. Ma va bene così, aver abbracciato la decrescita è stata una delle cose più positive che mi siano capitate. Ogni giorno scopro quanto si potrebbe ancora fare e quanto mi fa stare bene farlo. Per esempio, conosco tante persone che quotidianamente vengono al lavoro in bicicletta, le ammiro tantissimo e mi piacerebbe un giorno riuscirci anche io.

Infine esistono tanti fattori che concorrono al raggiungimento della Felicità pubblica. Qual è il più importante secondo te?

Secondo me questa ossessione che la società ci impone per le cose, per il consumare, limita molto la nostra possibilità di ricercare la felicità. Usiamo tutto il nostro tempo per lavorare, per guadagnare soldi, per acquistare cose per lo più inutili o dannose per noi stessi o per l’ambiente, da consumare, accumulare e cestinare. Con il risultato, quando va bene, di un appagamento effimero e vano e di un’infinita insoddisfazione. Prediligere i legami con le persone a scapito di quelli con le cose, riappropriarci di un tempo del fare a discapito del tempo del comprare, ristabilire nuove priorità in cui il possedere non sia tra i primi posti e magari riacquistare un po’ di consapevolezza sull’importanza e sul potere delle nostre azioni, forse potrebbero essere importanti passi verso la felicità. O, per lo meno, dopo quest’anno posso dire che per me è così.

Paola Guerra Anfossi: "felicità pubblica significa vivere in un mondo più sicuro" [4]
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