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A dare del filo da torcere ai governatori sono gli indigeni Munduruku, la cui vita dipende totalmente dal fiume e dalla foresta circostante, e sostenuti dagli attivisti di Greenpeace hanno deciso di difendere il loro territorio opponendosi al piano di costruzione.
Secondo i progetti, la diga di São Luiz do Tapajós, nello stato del Parà, sarebbe la più grande dell’Amazzonia dopo quella di Belo Monte e verrebbe affiancata dalla costruzione di decine di altre dighe, finendo per allagare la foresta e mettendo a rischio numerose specie endemiche, oltre alla stessa sopravvivenza fisica e culturale dei Munduruku, una popolazione di circa 12 mila persone.
Per questa ragione Greenpeace ha chiesto a nove ricercatori indipendenti di condurre un’analisi critica dei documenti necessari per autorizzare il progetto: la Valutazione di impatto ambientale e lo Studio di impatto ambientale, consegnati l’anno scorso alle autorità competenti da Eletrobras, una delle principali compagnie elettriche brasiliane.
Gli attivisti hanno così scoperto che risultati dell’analisi mostrano che la documentazione fornita da Eletrobras non adempie al suo compito fondamentale. «Anziché offrire informazioni sui rischi ambientali del progetto per poter decidere se autorizzare la costruzione delle dighe», commenta l’organizzazione ambientalista, «di fatto è solo uno strumento per legittimare scelte politiche già prese. Greenpeace chiede dunque che le autorizzazioni siano respinte, non solo per le omissioni tecniche, ma anche perché le popolazioni native non sono state consultate».
«Ancora una volta», aggiunge Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia, «la discussione sulla costruzione di imponenti centrali idroelettriche è stata condotta senza consultare le popolazioni locali, come è invece previsto dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui il Brasile è firmatario. Tutti i cittadini, a partire dalle comunità più esposte ai rischi, dovrebbero essere coinvolte e avere voce in capitolo nel processo decisionale. Il governo brasiliano deve ascoltare i Munduruku e rispettare i loro diritti».
Foto di copertina: Lunae Parracho/Reuters
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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